Il 2 giugno 1861 si verifica, per il Palio di Siena, una vera e propria rivoluzione, perché, di fatto, viene abolito il palio alla lunga e si prova a “trasformare” quello di luglio. O, per meglio dire, se ne trasforma la natura. O, almeno, ci provano.
Da Carriera nata per festeggiare la Madonna di Provenzano, in questo 1861, l’appuntamento si unisce ad una scadenza assolutamente laica: la festa dell’Unita d’Italia e dello Statuto Albertino. E’ di quest’anno, infatti, la decisione del governo italiano (assunta in maggio) di celebrare, la prima domenica di giugno, la festa dello Statuto.
A Siena, come da altre parti, queste ulteriori celebrazioni comportano spese gravose e la disposizione di legge offre (anche nell’ottica di ottimizzare i soldi da spendere per le feste) l’occasione per proporre una trasformazione di portata culturale enorme: si abolisce il palio alla lunga del 15 agosto (tanto più che è diventato pericoloso far correre i cavalli per le strade con persone e carrozze che circolano) e il Palio del 2 luglio viene spostato alla prima domenica di giugno. Viene, poi, abolito il Corteo dei Ceri e dei Censi che si teneva il 14 agosto ed affondava le sue radici nel XIII secolo e nell’omaggio delle comunità appartenerti allo Stato Senese alla Madonna Regina e Patrona dello Stato tutto. E il Comune sopprime una storia pluricentenaria, riuscendo dove nemmeno due secoli di amministrazione granducale erano arrivati: a cancellare la memoria fondante più sensibile dei cittadini.
Non le amava granché, del resto, la nuova cultura liberale e progressista, questi residui di medioevo: meno ne restavano, meglio era. Se poi si fosse abolito anche con il Palio (eccome se ci hanno provato!), sarebbe stato il segno che anche Siena guardava, finalmente, alla modernità, come stava accadendo in tutto il resto del Regno. Ma col Palio non ci riuscirono.
Ecco che spostarono a giugno, appunto, quello di luglio togliendo ogni accenno al “sacro”. Dal drappellone (del resto la Festa Nazionale di giugno è una festa laica) scompare così la Madonna di Provenzano, sostituita dalla Balzana senese, esattamente come identica iconografia campirà nel drappellone dell’anno successivo (per il Palio corso, questa volta il ancora il 2 giugno perché domenica 1° giugno ci furono tali tafferugli alla mossa e disordini in Piazza che venne sospeso). Resiste l’iconografia mariana nei drappelloni di agosto (una concessione alla matrice religiosa del rito? una par condicio? archeologia di groviglio armonioso? chissà…).
Il giorno del Palio del 2 giugno 1861 è caratterizzato da un aspetto quasi esclusivamente di festa nazionale, perché, come scrive Alberto Comucci, “Nella mattinata del 2 suddetto vi fu nel Prato della Lizza, apparata per tal uopo, una gran Messa Militare con intervento di tutte le Autorità, tutta la Guardia Nazionale, tutta la Truppa, e tutti i Corpi Morali; vi erano tutti i volontari, vi era la Società degli Operai ed una rappresentanza di tutte le Contrade. Dopo la Messa vi fu una gran rivista della Guardia Nazionale, e dei Granatieri passata dal Colonnello di Piazza, dal Prefetto, e dal Gonfaloniere, e poscia vi fu il Defilè della Guardia Nazionale”.
La Carriera fu vinta dall’Oca, con il fantino Paolaccino, essendo capitano Francesco Bani e governatore Camillo Lodoli, né mancò chi vide, in questo, il segno predestinato di un trionfo della Contrada che aveva i colori della bandiera nazionale. Il Palio laicizzato ebbe vita breve: il vero e proprio tradimento dell’origine religiosa del rito non tardò a disgustare i Senesi, i quali, appena due anni dopo, nel 1863, riportarono la corsa dedicata alla Vergine di Provenzano al giorno della sua festa, il 2 luglio, e reintrodussero (com’era giusto che fosse) l’icona della Madonna nel drappellone (per la cronaca, questa volta vinto dalla Pantera).
Maura Martellucci
Per approfondire: Duccio Balestracci, “Il Palio di Siena. Una festa italiana”, Laterza 2019.