La Contrada della Tartuca ha voluto celebrare il decimo anniversario dell’apertura del suo rinnovato Museo progettato con innovativa energia da Andrea Milani con una mostra dedicata ad Augusto Mazzini, architetto ben noto, primo assessore all’urbanistica del Comune di Siena, personalità dal polimorfo estro creativo, autore di prestigiosi edifici marcati da uno stile personale.
Il titolo dell’esposizione – oltre trecento i pezzi selezionati e radunati sotto il titolo “Quanta carta Una vita di-segni”, fa capire il filo conduttore seguito.
Augusto ha avuto fin da ragazzo una passionaccia per il disegno e sono, appunto, testimoniati da ritratti, paesaggi, abbozzi, appunti grafici, incisivi manifesti. Seguirlo in questo itinerario spinge anche a riflettere idee e proposte della seconda metà del Novecento.
La dimensione Contrada non è disgiunta da quella della città e del suo territorio di pertinenza.
Augusto ha sempre considerato Siena come un organismo ostile a improvvisazioni e inserimenti incidentali e l’ha osservata e studiata come un corpo dotato di una sua organicità, quasi fosse una persona.
Ha rovesciato un atteggiamento tipico della conservatrice mentalità diffusa: i senesi hanno avuto un rapporto diffidente con la modernità. Si sono spesso mantenuti sulla soglia affezionati a moduli incorreggibilmente neogotici e arcaicizzanti. In ciò ha contribuito a ribaltare l’idolatria per il passato, chiamando il Moderno – con la maiuscola – a entrare in un consacrato tessuto urbano. All’inizio emerse l’idea di far costruire al finlandese Alvar Aalto un Palazzo della cultura in Fortezza, che svettasse in dialogo con l’Acropoli attorno al Duomo. La proposta non ebbe seguito ed è stata forse l’occasione più ardita che non si riuscì a condurre a buon fine.
Altro punto su cui Augusto ha continuamente insistito è quello dell’ intercomunalità, approdata alla categoria di una Grande Siena rimasta in buona misura sulla carta. Se si traccia un bilancio dei suoi contributi si constata un alternarsi di vittorie (non solitarie) e sconfitte (irrecuperabili). Il razionalismo appreso all’Università incontrò grossi ostacoli.
Le Corbusier fu un mito mai dimenticato, Detti un docente memorabile, Quaroni un realista sornione armato di buonsenso, De Carlo un maestro di coinvolgente rigore. Augusto è rimasto sempre un seguace del Moderno, ma modulato con intonazioni tratte dallo spirito del luogo. La scelta di Aalto nasce da questa estetica. Pure il sogno di sistemare con un nuovo ordine critico la Pinacoteca nel Santa Maria della Scala per dotare Siena di un museo vivente, assecondando prospettive che Cesare Brandi aveva ripreso dalle enunciazioni del podestà Fabio Bargagli Petrucci addirittura nel 1905, non ha avuto lo sbocco auspicato.
Vien da dire, in breve, che Augusto & compagni hanno tentato di innovare coniugando antico e moderno, aggiornando gli ultimi sprazzi di una visione aristocratica al tramonto, più tollerata che sostenuta da un ceto politico sovente rivoluzionario solo a parole. Nei numerosi disegni in mostra trapelano appagate contemplazioni e amare delusioni. Augusto è stato un instancabile artista mimetico. Nelle sue opere è in azione un pennarello frenetico. Vi si avvertono rielaborate influenze del socialista Giuseppe Scalarini come dell’ironia alla Saul Steinberg, le atmosfere di David Hockney e la geometrica nettezza di Ben Shahn .
Per celebrare la vittoria del Palio al di fuori dalla tronfia retorica ufficiale suggerì di ridare al rione l’aria e le luci dei tempi andati. E nell’ “Arte di sopravvivere” (1972) raggiunse il culmine del suo immaginario, disegnando una sequenza di fantini immersi nel grigiore quotidiano. La serie alludeva alle condizioni della città, ai suoi anelli deboli. I colori dei giubbetti degli spregiudicati eroi del Campo simboleggiavano le indomite speranze che avrebbero dovuto sfidare tempi grami e un futuro dagli esiti imprevedibili. Augusto ci aiuta a ridere e a pensare, a interpretare la città anche nei suoi minimi dettagli e ad ammirarla nella sua smisurata bellezza.
E l’entusiasmo con cui partecipa alla vita della Contrada è stato ed è refrattario al greve localismo che sembra ritrovare un anacronistico favore. La sua è una lezione contemporanea e i momenti del suo viaggio evocati dalle carte in esposizione la documentano: nei guizzi d’intelligente ironia e nel moto di incrollabili affetti.
Roberto Barzanti