La detenzione può influire sulla personalità delle persone detenute per reati mafiosi? E lo studio? Sono le domande da cui è partita la ricerca presentata oggi all’interno della casa di reclusione di San Gimignano dai soggetti che l’hanno condotta: l’ordine degli psicologi della Toscana, il sipartimento di Scienze psicologiche, pedagogiche, dell’esercizio fisico e della formazione dell’Università di Palermo e L’altro diritto-centro di ricerca interuniversitario su carcere, devianza a marginalità e governo delle migrazioni. La ricerca, di cui oggi sono stati anticipati i primi risultati, è stata fatta attraverso questionari e interviste alle persone detenute che scontano pene per reati di associazione mafiosa, con una lunga detenzione e che seguono un percorso formativo universitario.
“L’obiettivo era capire gli effetti della lunga detenzione, del trattamento penitenziario, dell’intervento psicologico e del percorso di studi sulla loro personalità” spiega la psicologa Ilaria Garosi, curatrice della ricerca. “Da una prima analisi dei risultati, che in seguito verrà approfondita, è emerso che alcuni tratti della personalità descritta nella letteratura (tendenza a manipolare gli altri, un sé grandioso, assenza di empatia e sensibilità, sospettosità che sconfina a volte nella paranoia) si sono attenuati. Da questo si può supporre che il trattamento detentivo abbia interferito in maniera positiva sulla personalità delle persone detenute e che il percorso di studi seguito abbia contribuito a generare nuove prospettive di pensiero e un’apertura mentale maggiore”.
All’incontro hanno partecipato Maria Grazia Gianpiccolo, direttrice della casa di reclusione di San Gimignano, Maria Antonietta Gulino, presidente dell’Ordine degli Psicologi della Toscana, Sofia Ciuffoletti, presidente de L’altro diritto, Cecilia Giordano e Girolamo Lo Verso del Dipartimento di Scienze Psicologiche, Pedagogiche, dell’Esercizio Fisico e della Formazione dell’Università di Palermo, Ilaria Cornetti, magistrato di sorveglianza, Simone Mangini, vicepresidente dell’ Ordine degli Psicologi della Toscana e coordinatore del gruppo di lavoro Psicologia penitenziaria dell’Ordine.
“Ringraziamo la direttrice Gianpiccolo per averci permesso di presentare i primi risultati della ricerca all’interno della casa di reclusione di San Gimignano, dove la ricerca è stata fatta” commenta Maria Antonietta Gulino, presidente dell’Ordine degli Psicologi della Toscana. “La scelta del luogo per presentare il progetto vuole testimoniare l’impegno dell’Ordine degli Psicologi della Toscana nel fare ricerca e occuparsi della salute psicologica di tutte le persone, anche di quelle detenute e quelle che lavorano nelle case di reclusione. Dobbiamo portare l’attenzione su quello che accade dentro le carceri, luoghi dove vivono persone che si sono macchiate di crimini ma non per questo devono essere lasciate a se stesse, anzi, proprio per questo devono essere supportate anche dal punto vista psicologico. La presenza degli psicologi è necessaria nelle carceri”.
“Il carcere è un tema a cui come psicologi vogliamo dedicare impegno, ricerca e attenzione. Per questo, oltre a promuovere ricerche e progetti e stilare intese con il Ministero della Giustizia, abbiamo istituto all’interno dell’Ordine un gruppo di lavoro dedicato alla psicologia penitenziaria – spiega Simone Mangini, vicepresidente dell’ Ordine degli Psicologi della Toscana e coordinatore del gruppo di lavoro Psicologia Penitenziaria dell’Ordine -. Abbiamo messo a punto anche un manuale che sarà pubblicato a breve e speriamo possa essere un valido contributo per tutti coloro che si occupano di questo settore”.