Scavi al Santa Maria della Scala, assoluzione per l’architetto Biagini

Le indagini partite nel 2020 dopo due anni dalle opere di scavo al Santa Maria della Scala si arricchiscono di un nuovo tassello. L’unica imputata, l’architetto Caterina Biagini è stata assolta per non aver commesso il fatto. L’assoluzione arriva dopo l’archiviazione di tutti e numerosi indagati che all’inizio erano finiti sotto la lente di ingrandimento del pubblico ministero.
Partiamo dall’inizio cercando di chiarire l’evolversi delle indagini seguendo il filo logico della sentenza a firma del giudice Elena Pollini che ha valutato la posizione della Biagini.

Anno 2020 parte l’inchiesta sulle opere di scavo al Santa Maria della Scala iniziate nel 2018 che riguardavano il progetto di recupero e restauro della strada interna e di nuovi spazi espositivi. Nel tempo sul banco degli imputati si alterneranno numerosi soggetti la cui posizione è stata per tutti archiviata. In questa complicata vicenda era rimasto solo il direttore dei lavori Caterina Biagini.
Anno 2025 si chiude anche per l’architetto Biagini il lungo percorso giudiziario con l’assoluzione “per non aver commesso il fatto”.
Nove udienze con giudici che si alternano e perfino un sopralluogo là dove a dire del pubblico ministero (aveva chiesto la condanna dell’architetto nonostante fosse emerso la sua regolare condotta come si evince dalla sentenza che l’ha assolta) erano stati commessi i reati. L’imputazione per la Biagini difesa dagli avvocati Paolo Panzieri e Sandro Sicilia era di non aver rispettato le prescrizioni impartite dal funzionario della Sovrintendenza e di aver omesso di garantire una diretta sorveglianza archeologica. In più non avrebbe impedito che venissero demoliti numerosi reperti di valore storico e archeologico. Un capo di imputazione che stride con quanto emerso e sottolineato dal giudice: La Biagini aveva comunicato a tutti i diretti interessati l’andamento delle opere e sopratutto che già durante le indagini preliminari era emerso che l’architetto nel giorno del fatto “incriminato” era in ferie e lo aveva scritto a chi di dovere e aveva sospeso i lavori perché era emersa la testata di un arco. Al suo ritorno aveva trovato lo scavo incriminato (circostanze emerse e provate come si legge nella sentenza) Di più. Perché nessuno è andato a leggere il “giornale del cantiere“ e a guardare le relative foto da cui emerge chiaramente chi era presente in quel momento? A fronte di tutto questo i legali Panzieri e Sicilia demoliscono l’impianto accusatorio con prove e testimonianze. La linea difensiva viene puntualmente descritta nella sentenza di 17 pagine a firma del giudice Elena Pollini. I legali, tra le altre cose, sia nella memoria scritta che in sede di discussione – scrive il giudice – hanno evidenziato che l’originario processo aveva visto indagati molteplici figure del Comune di Siena tra i quali anche l’allora sindaco Luigi De Mossi, le cui posizioni sono state tutte archiviate. In sentenza è descritto in maniera chiara sia l’impianto accusatorio, che la strategia dei legali dell’imputata. Una ricostruzione puntuale in punta di diritto dove non trova spazio l’interpretazione.
Così dopo anni anche per l’architetto Caterina Biagini è arrivata l’assoluzione.
Cecilia Marzotti