Scomparso Giorgio Napolitano, nel 2012 la sua ‘lezione’ al convegno di Pontignano

È morto stasera il Presidente emerito della Repubblica, senatore Giorgio Napolitano, alla clinica Salvator Mundi al Gianicolo in Roma.

Napolitano, primo membro del PCI a ricoprire la carica di Capo dello Stato e prima persona ad essere eletta due volte, era stato l’ultima volta a Siena nel 2012 in occasione del convegno di Pontignano.

Questo fu il suo intervento integrale:

“Caro Presidente,
ringrazio lei e Giuliano Amato per avermi invitato qui con voi, come veterano – suppongo – della Conferenza di Pontignano. Si, in effetti, ebbi modo di partecipare alla prima edizione di questa Conferenza, allora promossa e presieduta da Ralph Dahrendorf. Per molti anni, ho cercato di non perdere i nostri appuntamenti di settembre a Siena e Pontignano. Molto più tardi, quando per me divenne più difficile essere presente, Ralph – molto generosamente – mi scrisse : “La tua fede in questa impresa, e, dopo, la tua lealtà, furono un grande aiuto per trasformare un momento fortuito in un evento duraturo.” Egli mi scrisse quella lettera nel settembre del 2002, appena trasmessa la presidenza di Pontignano nelle mani di Chris Patten.

E’ vero, penso che a quel punto avevamo buone ragioni per considerare Pontignano un evento duraturo. E duraturo e vitale lo è ancora, dopo altri 10 anni, come possiamo constatare oggi.

A mio avviso, il segreto di questo successo sta nel fatto di aver concepito la Conferenza di Pontignano come foro, variamente e riccamente rappresentativo dei nostri due paesi e, nello stesso tempo, informale e non – in alcun senso – di parte. Abbiamo così avuto la possibilità non solo di discutere liberamente, di scambiarci francamente nostre opinioni personali sui qualsiasi tema di comune interesse, scelto da un board preparatorio, ma soprattutto di conoscerci più profondamente, di capire meglio le rispettive peculiarità delle nostre società, le loro radici storiche e la loro evoluzione. Per questa ragione Pontignano ha contribuito senza alcun dubbio a dimostrare come si possano rafforzare e animare, rendere vive e calorose le relazioni italo-britanniche. In un quadro europeo, in uno spirito genuinamente europeo.

Il successo di Pontignano è stato dovuto soprattutto al fatto che fu ispirato e a lungo guidato da un europeo par excellence, come Ralph Dahrendorf.

Lasciatemi cogliere questa occasione per rendere omaggio alla sua alta figura di studioso e di personalità pubblica. Il suo straordinario, unico percorso europeo – dal Bundestag alla Commissione europea, nella quale fu designato dal governo tedesco, alla London School of Economics e finalmente alla House of Lords – segnò la sua vita, e lo collocò anche in una posizione speciale per guidare le nostre discussioni a Pontignano.
Quando “l’impresa” di Pontignano cominciò, Ralph – lo rammento molto bene – seguiva appassionatamente l’evoluzione istituzionale e politica dell’Italia dopo il crollo del sistema di partiti che aveva governato il paese per 45 anni. E seguendo la sua ampia e aperta visione europea, egli condivideva con molti italiani la speranza che un cambiamento positivo avrebbe avuto luogo di lì a poco, attraverso una riforma elettorale radicale e altre, significative, innovazioni.

Negli anni successivi si era affermata in Italia almeno un’alternanza di governo tra partiti politici, o coalizioni, contrapposti ; ma nell’ottobre del 1998, Dahrendorf mi espresse – in una sua lettera personale – il timore che avremmo potuto “tornare al quadro familiare della crisi”, aggiungendo di essere “preoccupato della possibilità che il tenue filo della stabilità” – che aveva retto fino ad allora – “potesse rompersi”. “E’ così importante” – fu la sua conclusione – “che venga mantenuto, per l’Italia e per l’Europa, un effettivo grado di affidabilità istituzionale” a Roma. Ebbene, questa raccomandazione mantiene ancora la sua validità, e io voglio rinnovare la mia gratitudine a Ralph Dahrendorf per l’attenzione e la simpatia che rivolse al nostro paese.
Ma veniamo a Pontignano 2012 e al suo programma. E’ ovvio che non spetta a me suggerire la risposta alla grossa domanda indirizzata a tutti noi :”Il Regno Unito e l’Italia : condividiamo lo stesso futuro?” Sono sicuro che le risposte verranno dalle sedute plenarie e dai workshop che si succederanno fino a domenica. In quanto a me, vorrei semplicemente fare alcune osservazioni.

In primo luogo, la questione è indubbiamente riferita al contesto dell’Unione europea. Non c’è bisogno di richiamare tutti gli impegni che il Regno Unito e l’Italia hanno condiviso e continuano a condividere in così molteplici campi, in primo luogo nella NATO e, più in generale, nell’arena internazionale. I nostri paesi sono stati e sono fortemente legati, partecipando in modo attivo e leale alla NATO come sui membri fondatori ; condividono lo stesso sentimento di amicizia e di solidarietà verso gli Stati Uniti ; hanno sempre sostenuto tutti i principi e le istanze delle Nazioni Unite. Eravamo e siamo sulla stessa linea, combattendo il terrorismo, e partecipando con convinzione e spirito di sacrificio a missioni internazionali in aree cruciali di crisi.

Potrei continuare, ma la Conferenza di Pontignano è focalizzata quest’anno sulle nostre posizioni, distinte o comuni, rispetto all’Unione europea, ai suoi principali problemi e dilemmi, e al suo futuro. E, sicuramente, non è la prima volta nella storia di questa Conferenza. Non solo io, ma molti di voi ricordano bene con quanta costanza e fino a che punto abbiamo discusso a Pontignano, anno dopo anno, di questioni europee o di aspetti europei di problemi mondiali. Quindi, cosa vi è di nuovo quest’anno? Mi sembra che vi sia davvero qualcosa di nuovo : la coscienza che si avvicina una svolta nell’evoluzione dell’Unione, nello sviluppo del processo di integrazione europea. Questo è il punto : la crisi globale, e la crisi dell’Eurozona, hanno drammaticamente posto in evidenza le contraddizioni tra la decisione della creazione dell’Euro, la nascita della BCE, l’adozione – in 17 Stati membri dell’Unione – di una politica monetaria comune, e il lasciare incompiute altre dimensioni della stessa Unione Economica e Monetaria. I governi nazionali e le istituzioni europee sono spinti, non da uno schema ideologico ma dalla cruda realtà, a compiere un balzo in avanti sulla via dell’integrazione, compresa l’integrazione politica. Questo è il futuro del quale dobbiamo chiederci onestamente se sarà condiviso dal Regno Unito e dall’Italia.
Siamo chiari, nessuno può meravigliarsi dell’atteggiamento attuale – almeno dubbioso e distaccato – del Regno Unito in merito alle opzioni ora sul tavolo del processo di integrazione. 

Non possiamo dimenticare le divergenze emerse con il Regno Unito dal primo momento in cui il progetto di una Comunità Europea venne concepito e delineato da Jean Monnet nelle conversazioni che egli ebbe nel 1949 con i suoi amici britannici : Monnet capì facilmente che l’idea di trasferire una qualsiasi parte della sovranità britannica era “totalmente estranea alla loro filosofia”. E, infatti, la Dichiarazione Schuman e la prima Comunità Europa non ricevettero l’adesione del Regno Unito. 

Nello stesso tempo non è possibile non ricordare come la più alta voce britannica, quella di Winston Churchill, si levò a Zurigo nel 1946 e all’Aia nel 1948, propugnando con forza la “ricomposizione della famiglia europea in una struttura regionale che si potrebbe, forse, chiamare Stati Uniti d’Europa”, sebbene citando “la Gran Bretagna, il Commonwealth britannico, la grande America e, confido, la Russia sovietica” (la frase di Churchill è del 1946) “come amici e sponsor della nuova Europa”. Fu davvero un formidabile incoraggiamento : tuttavia “dall’esterno”.
Scusatemi. Non avevo l’intenzione di riandare ad un passato troppo lontano, e con troppa superficialità, ma voglio sottolineare l’estrema complessità che storicamente – molto prima del ventesimo secolo – ha caratterizzato le relazioni tra il Regno Unito e l’Europa e che continua a pesare. L’analisi più fine di quella complessità si può trovare – a mio avviso – nel libro scritto una diecina di anni fa da Tommaso Padoa Schioppa, sapiente nel sostenere e nel servire la causa dell’Europa unita.
Egli scrisse dei sentimenti degli europei del Continente verso il Regno Unito – prima e dopo la decisione di Londra di aderire, con i suoi punti di vista e le sue cautele, alla Comunità Europea – e li descrisse come un misto di desiderio e di disappunto. Desiderio di acquisire al processo di unificazione europea il retaggio di saggezza politica, di pragmatismo e di virtù civiche che la Gran Bretagna ha accumulato nel corso della sua storia secolare. E certamente non tralasciando il senso di gratitudine per un paese che rappresentò un baluardo, in difesa delle libertà individuali e politiche, contro le dittature nei decenni più bui d’Europa. Ma, insieme al desiderio di abbracciare il Regno Unito nel processo di integrazione europea, e intrecciato con quel desiderio, il disappunto e la delusione per il persistente, tradizionale atteggiamento di diffidenza, se non di ostilità, del popolo e delle élite britanniche nei confronti dell’unificazione europea.

Ho semplificato la tanto più ricca analisi di Tommaso Padoa Schioppa, ma desidero mettere l’accento sulla sua conclusione, oggi più che mai coinvolgente : può la riluttanza britannica essere compatibile con un ulteriore progresso dell’integrazione? L’Italia non auspica alcun aut aut nelle relazioni tra l’Europa e il Regno Unito. Per quel che riguarda l’Italia, essa oggi sta cercando di coltivare ogni possibile terreno di intesa, su base bilaterale e all’interno dell’Unione. Ma mentre valutiamo seriamente l’importanza qualitativa dell’esperienza britannica, della sua cultura e dei suoi valori per una unificazione europea che sia realmente la più comprensiva e bilanciata, possiamo attenderci qualche schietta riconsiderazione da parte britannica ?
Non è forse questo il momento di ammettere realisticamente che la speciale posizione della Gran Bretagna nel sistema delle relazioni internazionali – compresa la relazione speciale con gli Stati Uniti – la peculiarità del ruolo della City o della sterlina non può giustificare un atteggiamento distaccato, se non addirittura l’auto-isolamento, della Gran Bretagna verso l’ineludibile evoluzione dell’Unione Europea? “Non possiamo fermarci” – Jean Monnet lo scrisse già nel 1976 – “quando attorno a noi il mondo intero è in movimento”. E quanto, da allora, il mondo si è mosso : trasformandosi in un mondo globalizzato, nel quale lo spostamento radicale, lontano dall’Europa, del baricentro della crescita economica e delle relazioni internazionali, ha determinato un indubbio rischio di irrilevanza o di marginalizzazione dell’Europa. Può il Regno Unito considerarsi immune da tale rischio? O dobbiamo sentirci impegnati insieme, per riaffermare il ruolo dell’Europa, della sua esperienza storica e del suo dinamismo, nel mondo di oggi e di domani? Per rinnovare e riaffermare un tale ruolo nell’unico modo possibile, e cioè unendo compiutamente l’Europa, le sue energie e le sue istituzioni?

Mi rendo conto di sollevare ulteriori questioni, o sottoquestioni. Lasciatemi quindi concludere, con l’espressione della mia fede nel futuro di un’Europa sempre più unita. Anche perché quel che non possiamo certamente rassegnarci a condividere è un futuro di comune declino”.