Due archiviazioni per una estorsione da quasi un milione di euro, un imprenditore costretto a chiudere e i soldi spariti. Sono questi in estrema sintesi i contorni di una vicenda che si consuma nella nostra provincia e che è andata avanti per alcuni anni.
Tutto inizia quando il proprietario di una impresa edile bussa alla porta di una caserma denunciando che due stranieri lo stanno minacciando perché vogliono il denaro per dei lavori fatti. Lui in quel momento non ce l’ha perché in ritardo nel riscuotere i proventi di alcuni lavori già fatti. Loro non sentono ragioni. Lo intimidiscono, lo aspettano fuori casa e fuori dal cantiere e non contenti se la prendono anche con i familiari dell’uomo. Quest’ultimo è sempre più impaurito e si rivolge ad un legale visto che la giustizia non sta facendo il suo corso. Intanto i due gli hanno ‘spillato’ tra denaro contanti e gioielli oltre ottocentomila euro. L’avvocato produce documenti e varie altre carte che provano la bontà di quanto raccontato dal suo cliente, ma il pubblico ministero (oggi trasferito da Siena ad altra sede) che ha avuto l’incarico di occuparsene non sembra convinto tanto da sollecitare il legale dell’imprenditore ad intraprendere la causa civile e non quella penale. L’avvocato non ci sta e si batte per il suo cliente fino a quando il giudice di quel momento condivide l’idea del pm e archivia. Il legale si oppone all’archiviazione e il pm sollecitato dallo stesso difensore chiede una proroga di sei mesi: il tempo non è galantuomo visto che in quel periodo non viene fatto nulla per capire cosa realmente sia accaduto e come siano andate le cose e così si arriva ad un’altra udienza davanti ad un altro giudice e anche quest’ultimo come era inevitabile archivia. E così alla fine l’imprenditore chiude la sua piccola ditta, chi gli ha preso quel denaro con le minacce rimane impunito e per questa estorsione che ha fatto chiudere un’impresa della nostra provincia non ci sono colpevoli. Lex… dura lex.
Cecilia Marzotti