Se l’adolescenza è in crisi, la genitorialità è in coma

In una società che evolve rapidamente, è sempre più comune sentir parlare della “crisi degli adolescenti”. Sebbene ritenga scorretto ogni forma di generalizzazione, è sotto gli occhi di tutti che molti giovani sembrino perennemente in lotta con sé stessi, confusi tra il bisogno di apparire, di appartenere a un gruppo e il desiderio di definire una propria identità.

Rubando le parole a Fromm, confusi tra l’essere e l’avere. I problemi di autostima, la crescente ansia sociale e la ricerca di un senso della vita sembrano dominare il loro percorso. A queste classiche difficoltà, negli ultimi tempi si è aggiunto l’impennarsi di molte psicopatologie, il decadimento cognitivo e le incompetenze emotive e relazionali che la tanto amata e declamata era digitale sta producendo, in primis grazie ai social network che stanno mettendo a dura prova la salute mentale dei più giovani, come suggerito da Jonathan Haidt, professore di psicologia sociale della New York University.

Sebbene tutto questo sia vero, un’analisi più approfondita ci porta a riflettere su un aspetto spesso trascurato: stiamo attraversando un periodo storico nel quale i genitori, quarantenni e cinquantenni, sono messi peggio dei loro figli. Il mondo in cui vivono i genitori di oggi è profondamente diverso da quello in cui sono cresciuti. Il progresso tecnologico ha accelerato il ritmo della vita, riducendo i tempi di adattamento e aumentando le dissonanze tra le generazioni. “Tutto e subito” è il mantra imperante. Le dinamiche familiari tradizionali sono state violentate da cambiamenti culturali e sociali, costringendo molti ad adattarsi a fluidi e spesso inconsistenti nuove verità, sponsorizzate dall’influencer di turno e alimentate dai tanti followers.

Mentre, in questo calderone, gli adolescenti cercano di adattarsi a un mondo sempre più connesso digitalmente ma spesso disconnesso dalla realtà, i genitori si trovano a fare i conti con un compito ancora più arduo: comprendere e supportare questi ragazzi, nonostante essi stessi non abbiano ancora trovato una loro stabilità. La genitorialità è diventata più fragile rispetto al passato, dove i ruoli e le regole erano ben più definiti e fortificati dalle agenzie formative naturali, veicolo di valori, ormai scomparse. Oggi, in altre parole, si richiede ai genitori di essere guide, ma senza una mappa da seguire. È vero che, in alcuni casi, i genitori di oggi tendono a passare più tempo con i figli, ma purtroppo, questo tempo, manca spesso di qualità, vedi il tempo passato al telefono.

Nella società che decanta la perfezione, anche ai genitori è richiesto di essere perfetti. La pressione sociale di essere sempre al top, trama dominante su Instagram, li lascia esausti e spesso insoddisfatti. Il mito del dover essere ideale non solo crea frustrazione, ma porta molti a sentirsi inadeguati. Questa percezione di fallimento viene proiettata sui figli, spesso con l’inconsapevolezza che la propria ansia e insicurezza influiscono negativamente sul loro sviluppo. L’eccesso di controllo o, al contrario, l’assenza di una guida solida, possono essere il risultato di questa insicurezza. I genitori si trovano divisi tra la paura di sbagliare e il desiderio di proteggere i loro figli da un mondo percepito come pericoloso e imprevedibile.

Come spesso ho modo di osservare grazie al mio lavoro di psicologo e psicoterapeuta con genitori e figli adolescenti, quest’ultimi manifestano spesso una mancanza di modelli stabili da seguire che crea in loro angoscia, definita da Heidegger come il presagio del nulla. Ma il problema non risiede nei giovani: i genitori stessi faticano a trovare punti di riferimento, proprio quando sarebbe a loro richiesto di esserlo. I valori che hanno caratterizzato le generazioni precedenti sembrano essersi sfaldati, lasciando un vuoto che non sempre è possibile colmare con nuove idee o soluzioni in stile fast food. Il risultato è una crisi identitaria anche tra gli adulti, che si sentono inconsistenti, smarriti di fronte a sfide che sembrano nuove e, talvolta, insormontabili.

Questa mancanza di punti fermi può portare a comportamenti estremi. Da un lato, troviamo genitori che fanno gli amici dei figli o, peggio ancora, adottano un atteggiamento iperprotettivo, annullando di fatto la costruzione dell’autonomia dei figli; dall’altro, ci sono quelli che, travolti dalle proprie difficoltà e incapacità, si distaccano emotivamente, lasciando i giovani a gestire la loro crescita senza regole e non dando loro il supporto adeguato.

Molti genitori fanno fatica ad ammettere di aver bisogno di aiuto. Cresciuti in un’epoca in cui chiedere supporto psicologico era considerato un segno di debolezza, oggi si scontrano con la necessità di affrontare le proprie vulnerabilità. Questa reticenza li porta a rimanere intrappolati in una spirale di insoddisfazione, riversando queste tensioni sul rapporto con i figli e cercando talvolta conforto nelle sostanze, altra tentata soluzione fallimentare.

Se da un lato gli adolescenti vivono una crisi legata alla loro identità, dall’altro i genitori soffrono per una mancanza di strumenti comunicativi. La società dell’iperconnessione, sta vivendo il paradosso dell’incomunicabilità. Cento messaggi al giorno tramite lo smartphone, ma poi non ci abbracciamo. La difficoltà nel comprendere le dinamiche emotive e relazionali spesso porta a conflitti, rinforzando la percezione di un divario incolmabile tra le generazioni. È essenziale, invece, promuovere una comunicazione aperta, basata sull’ascolto e la sintonizzazione emotiva. Imparare a dialogare, non tramite whatsapp ma guardandosi negli occhi, e a educare le emozioni proprie e altrui può essere un primo passo verso una relazione autentica tra genitori e figli. Togliete la Wi-Fi in casa e correte il rischio di chiedere a vostro figlio: “Come stai? Parlami di te. Sei felice?”.

Le parole di Friedrich Nietzsche: “Chi ha un perché per vivere può sopportare ogni come”. Forse, ritrovare un senso profondo nel proprio ruolo di genitori è la chiave per affrontare le difficoltà che l’essere genitore comporta e indirettamente, aiutare i propri figli, dando loro un valido modello cui ispirarsi.

Dott. Jacopo Grisolaghi

Psicologo, Psicoterapeuta, Dottore di Ricerca in Psicologia, Sessuologo, PsicoOncologo, Ricercatore e docente del Centro di Terapia Strategica di Arezzo
Professore a contratto Università degli Studi eCampus e Università degli Studi Link di Roma
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IG @dr.jacopo.grisolaghi