“Semel in anno licet insanire” (una volta all’anno è lecito fare follie). Così dicevano gli antichi romani durante il Carnevale, periodo nel quale, già allora, si usava mangiare i Cenci. Il Carnevale il cui nome è legato alla tradizione Cristiana (carnem valere), con riferimento al momento prima dell’astinenza e del digiuno di Quaresima, in cui si poteva mangiare la carne, ha in realtà origine più antiche, e si lega alle feste pagane dei Saturnali. Durante queste feste era usanza mascherarsi e fare scherzi; durante i banchetti, ci si poteva travestire da padroni, pur essendo degli schiavi e trattare male il proprio padrone, travestito da schiavo, ribaltando in forma giocosa la condizione sociale.
Apicio il primo vero scrittore di libri di cucina, riporta nel suo “De re coquinaria” la ricetta delle “frictilia”, il dolce tipico, che abbondava durante questi banchetti e che venivano distribuiti alla folla tra le strade della città. Apicio le descrive come dolci di uova e farina di farro, tagliati a bocconcini e fritti nel grasso di maiale, e infine bagnati col miele. Questa tradizione è giunta fino ai giorni nostri, curiosamente con nomi diversi, a seconda delle regioni italiane. Così se a Siena si mangiano i Cenci, in qualche altra parte della Toscana troveremo i Crogetti, in Piemonte e Liguria cercheremo le Bugie, in Veneto i Galani, nel centro e nel sud Italia le Chiacchiere oppure le Frappe. Questi sono solo alcuni dei nomi, vi potete divertire a cercarne altri.
La ricetta è la stessa dai tempi antichi, anche se – fortunatamente per la nostra salute – l’olio ha sostituito il grasso di maiale per la frittura: uova, farina, zucchero, e un bicchierino di marsala. I Cenci poi vengono spolverati di abbondante zucchero a velo, anche se c’è chi li preferisce al miele, o anche al cioccolato. I salutisti li fanno al forno, ma il paragone con la versione originale non regge. Come accostamento al vino potrebbe andare bene un vino dolce, ad esempio un Moscadello di Montalcino, oppure un Recioto della Valpolicella, ma anche qualche buon Passito.
Stefania Tacconi