Sergio Abrignani è un immunologo stimato, che in carriera ha conseguito numerosi riconoscimenti e che col nuovo governo Draghi è diventato membro del Comitato Tecnico Scientifico. Il professore dal 1993 si è trasferito in terra di Siena e qui ha costruito una famiglia: infatti, nonostante non sia nato qui, è lui stesso a definirsi un senese d’adozione. L’immunologo intervistato da Siena News, affronta il grande tema che è il covid.
“Il mio rapporto con Siena nasce nel 1993, grazie a quella persona straordinaria che è Rino Rappuoli: insieme abbiamo lavorato alla Chiron -esordisce Abrignani, che continua- “Qui, poi, ho conosciuto mia moglie, e sempre qui ho fatto nascere i miei figli che qui sono cresciuti. Siena è a tutti gli effetti casa mia, nonostante spesso mi trovi costretto a girare tutta l’Italia per lavoro”. L’immunologo, poi si sofferma a spiegare quale è il ruolo del Comitato Tecnico Scientifico e cosa fa esattamente: “Allora, dobbiamo partire spiegando che il Cts, da solo, non decide assolutamente niente. Il Cts è un comitato, che risponde a quesiti tecnici posti dalla politica. L’organo è composto da 11 esperti in vari campi ed aiuta la politica a mitigare i rischi che si prende”.
Sergio Abrignani non perde l’occasione per approfondire anche il tema dei vaccini: “Dobbiamo subito premettere che tutti i vaccini sono efficaci, Pfizer, Moderna, AstraZeneca e Johnson & Johnson. Tutti e quattro i vaccini proteggono dagli eventi più gravi come malattia e morte”. Sull’importanza dei vaccini prosegue: “La comunicazione è sempre migliorabile, non si arriva mai all’ottimale. La mia opinione, tuttavia, è che dobbiamo imporre l’obbligo vaccinale. L’abbiamo imposto in passato per malattie molto meno aggressive come epatite B e poliomielite”. “Quello che bisognerebbe capire è che il vaccino è un obbligo verso la comunità. I no-vax sono quasi tutti al di sotto dei 60 anni, perché ovviamente sanno che il 97% dei morti sono al di sopra di quella soglia. Al di sotto dei 50 anni spesso è una normale influenza, e clinicamente lo è. A queste persone bisognerebbe far capire che la vaccinazione è un atto di altruismo nei confronti della medicina di comunità: un trentenne che non si vaccina sa che anche se si infettasse non morerebbe, ma è probabile che infetti un fragile, come un paziente tumorale (i quali non possono vaccinarsi), il quale, infettato, morirà”.
Il professore prosegue sul tema dei vaccini facendo un raffronto con la seconda guerra mondiale: “Tra il giugno 1940 ed il maggio 1945, nel disastro più grande della nazione, abbiamo avuto 440mila morti tra militari e civili, dal fronte russo ai bombardamenti e alle stragi nazifasciste, per una media che un po’ meno di 90mila morti l’anno. Noi, oggi, abbiamo raggiunto in 14 mesi, il totale di 126mila morti: un numero che fa paura”. Abrignani ribadisce una volta di più l’assoluta necessità di imporre l’obbligo vaccinale: “Trovo assurdo che si stia ancora a discutere di obblighi e di violazioni dei diritti di scelta”.
Abrignani, si esprime anche su quando si potrà ragionevolmente pensare di tornare allo stile di vita pre-pandemia: “Quando arriveremo ad aver coperto un buon numero di italiani, se non ci saranno varianti particolari, sui 50-53milioni, potremo tornare alla vita quasi normale. Dico quasi normale, perché, non avendo mai vissuto nulla di simile”. Dopo il covid, spiega l’immunologo “saremo più cauti nell’abbracciarsi, darsi la mano e baciarsi come prima. Sarà molto più cauto il modo di fraternizzare”.
Infine, Abrignani spiega anche il suo punto di vista sull’opportunità di correre un Palio dopo il covid: “Quelle scene che vedevamo, con 50mila persone dentro un recinto, per tanti anni non le potremo vedere”. Poi continua: “Che si faccia un Palio è auspicabile, è possibile ed è probabile, tuttavia, sarà con meno persone, ingressi limitati e distanziamenti. Questo, almeno nel breve. Fra un po’ di anni, speriamo che si potrà tornare alla normalità”.
Sui timori verso le scene di giubilo Abrignani fa un paragone con i festeggiamenti per lo scudetto dell’Inter a Milano: “Forse sarebbe stato possibile bloccarli, ma come si fermano quasi 20mila persone che vogliono festeggiare dopo 11 anni? Se mi viene chiesto se hanno fatto bene io sono costretto a dire di no, anche se non sembrerebbe si sia consumata una tragedia”. Abrignani conclude: “Se si dovesse decidere di correre un Palio, i contradaioli sicuramente si abbracceranno e festeggeranno, e di questo sono convinto. Sono altrettanto convinto che sbaglieranno, però esistono cose umane che non è possibile definire. Talvolta, facciamo cose sbagliate, ben sapendo che sono sbagliate perché la gioia è tale che ce ne freghiamo delle regole”.
Emanuele Giorgi
(Di seguito il servizio completo)