Se andate verso l’Orcia non vi fermate subito a Bagno Vignoni, famosa, famosissima, bella bellissima, ma fate un paio di chilometri verso la collina, avendo davanti paesaggi che bruciano gli occhi dalla bellezza, e arrivate al castello Vignoni alto.
Fondato nell’XI secolo come possedimento dell’abbazia di Sant’Antimo è oggetto di lunghe contese all’inizio del 1000 lo troviamo di proprietà dei Tignosi, signori della vicina Rocca d’Orcia, passa poi alla famiglia dei Salimbeni e solo nel XIV secolo Siena, che guarda con grande interesse alla sua posizione strategica, se ne impadronisce. Dopo la caduta della Repubblica divenne proprietà degli Amerighi e tradizione vuole che nel loro palazzo accanto alla chiesa si riunissero per ordire i piani strategici per sconfiggere i senesi ribelli rifugiati a Montalcino (siamo quindi negli anni tra la fine dell’assedio di Siena e l’esodo delle famiglie senesi a Montalcino: 1555-1559).
Oggi rimane una torre (ribassata evidentemente rispetto all’originale), con un ingresso di grande impatto che era, di fatto, il mastio, cioè la più alta del fortilizio. Anche una delle antiche porte di accesso è intatta e apre uno scenario, tipo quinta di teatro, proprio sui borghi più importanti dell’Orcia. Resta la chiesa di San Biagio, la cui origine romanica ormai si legge solo nella facciata e nel campanile a vela.
Ah, e se poi dopo questo “bagno” di cultura volete farvi anche un bagno vero cercate a Bagno Vignoni e sentieri meno “turistici” e troverete pozze e cascate di acque termali che vi laveranno la stanchezza e doneranno serenità come fecero, nei secoli, dato che le capacità curative delle sue acque termali erano note fin dall’epoca etrusca e romana, celebri personaggi quali Santa Caterina, Papa Pio II o Lorenzo il Magnifico. Anche e “a quei tempi” ci si poteva immergere direttamente nella imponente vasca rettangolare, risalente al XVI secolo, che si trova al centro del borgo e serve come punto di raccolta delle acque termali.
Maura Martellucci
La rocca dalle vasche di Bagno VignoniCon la testa che emerge dall’acqua
guardo verso la rocca possente
che di Castiglion d’Orcia sovrasta
le dimore aggregate al pendìo:
benché stabile, appare precaria
dalla molle sostanza in cui giaccio;
si consuma il consistere mio
ed anche quello di case e di torri,
osservando dall’acqua che fugge;
la struttura guerresca e robusta
cederà al liquescente potere
del tempo: è lo sfacelo fluente,
è il friabile moto dei giorni
che scorrendo disgrega le gabbie.
Morte, visitami dentro il sangue
trasparente che sgorga dal suolo
disossato, consuma e disperdi
l’errante impalcatura del corpo
ed abbatti la torre elevata,
liberandone la forza statica
verso la sconfinata atmosfera.
Dolce Morte, impietosa avversaria
dell’oppressa esistenza, difesa
invincibile contro gli assalti
del dolore, emissaria di Dio,
crollerò con te fuori dal tempo.
(Andrea Laiolo)