“Ho voluto raccontare l’umanità di alcune figure architettoniche”. Le fondamenta del suo progetto Niccolò Kirschenmbaum le espone in modo chiaro, la sua è un’elegia dell’antieroismo di alcuni tesori dell’arte senese ma è anche il tentativo di donare una nuova vita ad alcuni capolavori. Ma Per ciò che è, questo il nome della sua mostra personale esposta alla Galleria Olmastroni di Palazzo Patrizi, non si ferma solamente a questo: dietro il lavoro del giovane fotografo infatti c’è anche la sua esistenza, la storia di una persona cresciuta a Torino che solo dopo gli studi universitari ha potuto conoscere la sua città natale: Siena.
“Ho vissuto in Piemonte fino alla maggiore età – racconta-. Qui sono tornato maggiorenne per studiare all’università. E’stato come un ritorno a casa per me, come se gli anni passati a Torino fossero meno importanti, mi sono innamorato di questo luogo. Ho studiato, mi sono laureato e sono rimasto. Questo per me è un centro gravitazionale permanente: viaggio in tutto il mondo, ma ho sempre bisogno di stare qui. Io sono cresciuto negli anni ’90 (Niccolò è nato nel 1983 ndr.) e ho passato la mia infanzia a Torino, per me era caotica e non riuscivo a trovare la mia dimensione anche se mi ha fatto scoprire la fotografia”.
Si perché il sentimento per questo mestiere Niccolò lo ha forte dentro di sé da oltre venti anni, da quando era quattordicenne ed in modo casuale scegliendo un corso del liceo classico, riuscì a capire che la macchina fotografica era il mezzo con poteva descrivere la sua interiorità. “E’il modo con cui riesco a raccontare me stesso – ci dice-. La realtà che mi circonda diventa così l’inchiostro della mia vita: la interpreto con i miei occhi, in modo quasi egoistico”. Con il ritorno nella sua città la fotografia si incontra con l’altro grande amore di Niccolò: l’arte. L’unione tra questi due elementi porta alla nascita della sua esposizione. Per ciò che è è un omaggio a Siena, alla sua bellezza e alla sua storia.
Gli scatti di Kirschenbaum ritraggono i gessi del Sarrocchi per Fonte Gaia, i cartoni del Beccafumi per il pavimento del Duomo, i dettagli grafici degli affreschi del Vecchietta. ” Quando lavoravo alla fototeca Giuliano Briganti mi colpiva sempre l’inespressività di alcune opere – spiega- nelle foto catalogate, mancava la profondità. Così ho voluto dare una mia personale visione a certe sculture sopratutto a quelle che avevano alcuni difetti dovuti al passare del tempo e ai cambiamenti atmosferici. Il lavoro che ho preferito maggiormente è stato quello con Giovanni Pisano: si vedeva che i suoi soggetti trasmettevano dolore, io l’ho voluto ritrarre”. L’allestimento, ad ingresso libero, resterà aperto tutti i giorni fino al 9 febbraio con orario 15.30-18.30.
Marco Crimi