Con un finanziamento di oltre 400mila euro c’è anche l’università di Siena a far parte del gruppo europeo di studio del pericoloso coleottero Popillia japonica. Questo insetto è originario del Giappone, agli inizi del 1900 si è diffuso nel continente nordamericano, in Europa è presente nelle Azzorre e, dal 2014, anche in Italia al confine tra Lombardia e Piemonte, nel parco del Ticino. Questo ‘scarabeo’ asiatico è’estremamente nocivo per l’ambiente: quando è una larva sverna nel terreno, si nutre delle radici delle piante e devasta manti erbosi come quelli dei pascoli per il bestiame; una volta diventata adulto si ciba di ogni di tipo di piante, anche ortofrutticole.
Se superasse l’Appennino raggiungendo la Toscana e la provincia di Siena per il nostro agroalimentare – sopratutto per il nostro vino – potrebbe crearsi una situazione estremamente dannosa in termini economici. In Europa manca un predatore capace di bloccare l’azione di questo insetto: se nel suo paese originale ci pensano delle piccole vespe – depongono delle uova nella larva, queste si cibano di essa-, da noi non esiste nulla che possa controllare il diffondersi di questo animale. Da qui l’idea di fare partire il progetto continentale Integrated best management for the invasive japanese beetles che si pone l’obiettivo di contenere questo esemplare e che è fa parte del programma di finanziamento Ue verso progetti di ricerca Horizon 2020.
“Dobbiamo mettere in atto strategie che limitino la sua dispersione nel territorio – ci spiega Antonio Carapelli, professore associato di zoologia dell’università di Siena-. Da noi una femmina di Popilia depone in un anno dalle quaranta alle sessanta uova, con poche femmine si crea, in breve tempo, una popolazione molto estesa.
Le stime ci dicono che per ogni stagione esistono numeri impressionanti di esemplari adulti. Sicuramente nella zona del Ticino gli insetti superano il milione durante l’estate mentre le larve sono più difficili da identificare e quantificare. Il ciclo biologico di questo insetto da adulto non è molto lungo, sono due-tre mesi, le larve si ‘ibernano’ sottosuolo nell’inverno per poi completare lo sviluppo in primavera e arrivare alla metamorfosi”.
Sei sono le nazioni coinvolte in questa iniziativa – ci sono anche Svizzera, Germania, Austria, Portogallo e Francia- e 13 i gruppi di studio – tre sono italiani-. “Tutti i ricercatori si sono aggregati formando dei team, Abbiamo scritto un progetto iniziale- afferma-. Per farlo c’è voluto un anno e mezzo.Per ottenere i fondi prima c’è una pre-proposal, scadeva a Giugno, con cui è stata fatta una preselezione secondo la valutazione di alcuni giudici anonimi che hanno dato un punteggio al nostro lavoro. Al secondo step tutti i membri del nostro network hanno dovuto dire quale era la loro parte nel progetto, un coordinatore poi ha organizzato i contributi dati delle varie università per arrivare ad un progetto finale che è lungo 150 pagine tra scrittura, bugdet economico, previsioni”.
Ogni unità ha una propria task, un proprio obiettivo particolare da seguire. A Siena tutto viene portato avanti nei laboratori del polo dell’ateneo a San Miniato. “C’è chi si occupa di monitorare la presenza della popolazione dell’insetto in un certo territorio, c’è chi, attraverso trappole, prova a capire quale tipo di agente chimico può essere applicato contro il coleottero – conclude Carapelli-. Qui ci occuperemo di ricostruire il percorso di colonizzazione che si è realizzato in 100 anni, da quando il Popillia ha lasciato il Giappone. Analizzeremo il Dna di alcune specie presenti nel nostro territorio comparando il genoma degli organismi ‘italiani’ con quelli ‘americani’ e quelli ‘ nipponici’. Le affinità che troveremo ci permetteranno di ricostruire le origini del ceppo che è presente qui. Vogliamo inoltre capire come si comporta un’organismo quando viene trattato con insetticidi o altre sostanze ‘biologiche’ , come i nematodi, che ne limitano lo sviluppo, evidenziare se in condizioni normali o di stress si esprimono maggiormente alcuni geni”.
Marco Crimi
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