“Le chiarine di Siena, che risuonano oggi forti e chiare nel nostro cuore, e l’orchestra di Piazza Vittorio, il suono del Palio e quello di culture e tradizioni diverse e lontane. Il nostro lavoro è tenerli insieme, così come un confine tiene insieme le cose che finiscono e quelle che iniziano; il nostro lavoro è la fatica e la felicità dell’attraversamento”.
Conclude così il suo ultimo discorso da Rettore dell’Università per Stranieri Pietro Cataldi. Nell’apertura della sua lunga riflessione Cataldi parla di limiti: “l’inizio di un nuovo anno accademico, inaugurandolo, e l’inizio di un nuovo mandato rettorale”, ed ancora “Il limite che separa due anni accademici è oggi anche quello che separa due mandati rettorali. È l’avamposto periclitante dal quale vi saluto come rettore che oggi conclude i sei anni del suo mandato, ed è i blocchi su cui il collega e amico Tomaso Montanari”. Per Cataldi “abbiamo paura della fine perché vorremmo che le cose non finissero –la loro fine ci ricorda la nostra, e quella di tutto ciò che amiamo”.
Il secondo preambolo è sull’anno accademico che si è appena chiuso: “è stato impegnativo e difficile; come quello che lo ha preceduto. Ma ce l’abbiamo fatta. Non un giorno ha taciuto il movimento della ricerca, né lo slancio della didattica. Abbiamo lavorato tutte e tutti perché l’università non chiudesse mai, perché la nostra piccola comunità, pure scossa da tensioni, restasse coesa”. Lo sguardo poi viene volto al futuro: “l’anno che si apre sarà come quelli che il leopardiano venditore di calendari promette al passeggero: sarà migliore di quelli passati e ci tratterà meglio tutti – continua -.A questo futuro mi piace oggi augurare solo una cosa: da parte di chi insegna, persuaderci e persuadere che la conoscenza vada praticata e nutrita senza accontentarci di semplificazioni spesso manipolate; e da parte di chi apprende, educarsi alla fatica del pensiero, cercando nutrimento nella complessità che sta al di là dei canali di informazione dominanti”.
Nel discorso di Cataldi c’è pure spazio per Dante: “è stato un perdente, uno spaventoso sconfitto. Ha scritto la Commedia costretto a trascinarsi in un’Italia nella quale i suoi diritti civili erano sostanzialmente nulli, con una condanna a morte sul capo nella sua Firenze: l’esule senza colpa”, per cui “ci dobbiamo chiedere allora che cosa sia il suo successo oggi, e perché lo ammiriamo” Se fosse solo per ragioni estetiche, per una bellezza fine a se stessa, e tutta quanta separata dagli oggetti che la compongono, allora, non saprei immaginare un tradimento più grande di quella bellezza; non saprei immaginare un modo peggiore per essere degni di quella eredità. In realtà credo che nella Commedia ci coinvolga soprattutto la fiducia nella trasformazione, l’entusiasmo appassionato che congiunge il disincanto del presente e la fede nel cambiamento”.
Infine Cataldi fa un bilancio del suo sessennio di mandato partendo dalla crescita “perfino stupefacente del corpo docente e ricercatore, passato in questi sei anni da circa 40 a quasi 75 unità”, ed ancora “mi riferisco al gran numero di assunzioni di PTA avvenute, deliberate o previste nel nuovo fabbisogno approvato pochi giorni fa: quasi 30 unità di personale – continua -. Mi riferisco al reclutamento di così tanti CEL di lingua straniera a TI –passati da quattro a circa 25. La sostenibilità di questa crescita si lega a un incremento del FFO, finalmente di nuovo in movimento dopo anni di faticosa stasi (e se non siamo indietreggiati, come gran parte degli atenei, si è dovuto alla capacità di guadagnare sempre il massimo nei margini della premialità): dagli 8-9 milioni complessivi siamo finalmente collocati oltre i 10”