Uno studio dell’Università di Siena e dell’Azienda ospedaliero-universitaria Senese sulla vaccinazione contro il COVID-19 nei soggetti con infezione da HIV, pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Communications Medicine (Nature), dimostra che la risposta immunitaria è simile a quella dei soggetti sani, ma ci sono differenze nelle caratteristiche delle cellule indotte dalla vaccinazione.
Le analisi sono state condotte in 84 pazienti con HIV, vaccinati contro COVID-19 nell’ambito dello studio “Patovac”, promosso dalla professoressa Donata Medaglini del dipartimento di Biotecnologie mediche dell’Università di Siena e realizzato con il coordinamento dello sperimentatore principale, la dottoressa Francesca Montagnani, ricercatrice presso lo stesso dipartimento, e del co-sperimentatore dottor Massimiliano Fabbiani, entrambi medici infettivologi presso l’Unità operativa di Malattie Infettive e Tropicali dell’Aou Senese, diretta dal professor Mario Tumbarello.
Si tratta di uno studio innovativo che va oltre la caratterizzazione della risposta anticorpale indotta contro la proteina Spike di SARS-CoV-2.
«I vaccini a mRNA anti COVID-19 – spiega la professoressa Donata Medaglini – hanno dimostrato elevata efficacia ed immunogenicità anche nei soggetti con HIV, ma sono ancora limitate le conoscenze sulla memoria della risposta immunitaria indotta dalla vaccinazione e sulla sua persistenza nel tempo. Risultati importanti per questi pazienti arrivano dal nostro studio e contribuiscono a fornire una risposta alla domanda aperta sulla durata della memoria immunologica al vaccino anti COVID-19 e sulla necessità di ripetere la somministrazione vaccinale – dosi di richiamo o booster – in soggetti con HIV in terapia antiretrovirale».
Le cellule B di memoria sono state caratterizzate tramite citofluorimetria a flusso multiparametrica e analisi computazionale, presso il Laboratorio di Microbiologia molecolare e Biotecnologia del dipartimento universitario.
«Le analisi condotte nei soggetti con HIV in terapia antiretrovirale mostrano la persistenza di cellule di memoria specifiche per la proteina spike di SARS-CoV-2 sei mesi dalla seconda dose vaccinale. Tuttavia, – aggiunge la dottoressa Annalisa Ciabattini, responsabile del laboratorio di citofluorimetria – il fenotipo delle cellule B di memoria osservate si differenzia da quello riscontrato nei controlli sani. Queste cellule atipiche costituiscono una popolazione già osservata in soggetti con patologie croniche e autoimmunitarie e negli anziani e potrebbero essere associate ad una minore responsività in caso di futuro incontro con SARS-CoV-2».
«Questi dati dimostrano che i vaccini a mRNA stimolano nei soggetti con HIV una risposta anticorpale paragonabile ai soggetti sani e una persistente risposta di cellule B di memoria spike-specifiche, sebbene con un differente fenotipo cellulare – prosegue la professoressa Donata Medaglini –. Ulteriori analisi sono in corso per valutare la funzionalità di queste cellule di memoria e la risposta alle dosi booster di vaccino a mRNA».
«I risultati dello studio dimostrano come la ricerca clinica sia un fondamentale supporto per l’ottimizzazione dei percorsi di prevenzione e cura dei pazienti, – conclude la dottoressa Montagnani -, in particolar modo di categorie potenzialmente più a rischio di infezioni, come i soggetti che vivono con HIV, a cui va il nostro ringraziamento per la disponibilità e l’entusiasmo con cui sempre aderiscono alle nostre proposte di studio».
L’articolo è pubblicato anche online all’indirizzo: www.nature.com/articles/s43856-023-00245-5.