Il suo aggressore l’ha colto di sorpresa e colpito una prima volta da davanti ma lui è riuscito a schivare l’attacco, ferendosi lievemente, ed è riuscito a scappare. Alle sue spalle, però, la lunga lama del suo assalitore è riuscita a raggiungerlo e gli ha prima tagliato di netto l’orecchio, poi gli ha affettato l’occipitale intaccando il cervelletto. La morte infine è arrivata con un colpo che gli ha attraversato il cranio.
Se pensate che sia la descrizione di una scena pulp di una serie Netflix, siete in alto mare. Si tratta di un omicidio, sì ma avvenuto realmente. Novecento anni fa.
Stefano Ricci Cortili, ricercatore dell’Università di Siena ha risolto così, dopo nove secoli, un segreto che era rimasto sepolto nel tempo ed arrivato a noi attraverso un teschio e uno scheletro scoperti durante recenti scavi archeologici.
Un omicidio cruento diventando dunque a tutti gli effetti un “cold case” d’eccezione, dato che è rimasto congelato per quasi mille anni. Poi la soluzione che, chissà, darà pace allo spirito di quel giovane (aveva circa vent’anni) ucciso nel Medioevo chissà se per un duello, per una rapina, per una vendetta o per amore.
Il giovane uomo era sepolto con il suo segreto nel cimitero di San Biagio in Cittiglio (in provincia di Varese), nella tomba numero tredici dell’atrio funerario interno alla chiesa, in un’area sepolcrale un tempo localizzata di fronte all’antica facciata romanica dell’edificio.
Stefano Ricci ha lavorato in un team di antropologi del Dipartimento di Scienze fisiche della terra e dell’ambiente dell’Università di Siena, in collaborazione con il Dipartimento di Biotecnologie e scienze della vita dell’Università dell’Insubria.
Il risultato della ricerca è stato reso noto in uno studio pubblicato sull’importante rivista scientifica internazionale “Journal of archaeological science: reports”e Stefano Ricci ne è il co-autore insieme a Jacopo Crezzini, anche lui ricercatore del nostro Ateneo.
Il contributo dato da Siena è stato decisivo, visto che lo scheletro dell’uomo era già stato analizzato da un punto di vista antropologico ma risultati non sufficienti per dare una spiegazione all’accaduto.
“Siamo entrati in un secondo momento – dice Ricci – ed abbiamo applicato i metodi che usiamo di solito anche per fare le analisi su reperti preistorici. Quindi ci siamo resi conto dei quattro tagli presenti sulla superficie del cranio del ragazzo”.
Il team senese di Preistoria e antropologia ha applicato le tecniche d’indagine usando il proprio microscopio digitale tridimensionale ed ha quindi ricostruito il volto dell’individuo con le tecniche in uso in ambito forense e archeologico.
Le analisi svolte con questo strumento hanno permesso di analizzare approfonditamente le lesioni scheletriche e, grazie a una serie di esami microscopici di tipo qualitativo e quantitativo, di ricostruire la loro natura, la loro origine e l’intera dinamica dell’evento violento. Dallo studio è emerso che il soggetto era stato ripetutamente colpito al cranio con un’affilata spada lunga dell’epoca.
“Andando ad analizzare le strie lasciate dall’impurità della lama ci siamo accorti -aggiunge Ricci- che queste hanno la stessa angolazione e così abbiamo capito come la spada è entrata dentro il cranio. Sembrava di trovarsi di fronte ad un codice a barre con i colpi che sono andati tutti da destra a sinistra. Questo ci permette di dire che l’aggressore era mancino”.
Sempre a Ricci inoltre è stata affidata la ricostruzione fisiognomica del soggetto che ha permesso di dare un volto e guardare negli occhi il ragazzo. Pochi comunque gli elementi che permettono di ricostruire la storia del giovane di cui però si conosce il triste destino.
Il ventenne però era “sepolto in una posizione privilegiata di fronte all’antico accesso alla chiesa e dunque possiamo ipotizzare che l’uomo appartenesse a una famiglia di elevato stato sociale e, forse anche per questo motivo, a maggior rischio di essere assalito”, sono le parole di Chiara Tesi, borsista di ricerca all’Università dell’Insubria e autrice insieme a Ricci e Crezzini dell’articolo.
“Ad ogni modo -conclude- questo tipo di aggressione mortale, caratterizzata da una forma di violenza finalizzata al rapido annientamento della vittima, ci lascia increduli e ci fa ipotizzare una premeditazione, non certamente il risultato di un semplice movente”.
Katiuscia Vaselli
Marco Crimi