Con Vittorio Carnesecchi è scomparso non solo un docente universitario di valore, ma una persona molto attiva in istituzioni che hanno operato con disinteresse e passione per il bene di Siena. Vittorio faceva parte della nidiata di giovani che agli inizi degli Anni Sessanta avevano il loro continuo riferimento nella Facoltà di Giurisprudenza, dove ha tenuto la cattedra di Economia Politica dal 1968 al 1972. Ma ben prima aveva acquistato un suo ruolo quale assistente ordinario, appunto, di Economia Politica, dal 1962. Ripensarlo oggi significa ricordare con lui Paolo Barile, Michele Cantucci, Mario Delle Piane, Enzo Balocchi, Enzo Cheli e soprattutto Vittorio Marrama, che fu, dal 1953, tra i professori più prestigiosi del nostro Ateneo. Ma spetta ad altri rievocare i suoi meriti scientifici e la qualità della sua ricerca. E le tappe di un curriculum che ebbe luoghi internazionali di spicco: tra tutti l’Università di Vanderbilt negli USA. Esponente di quel mondo cattolico che si è dedicato con fervore alla gestione di enti dalle salde radici, quali l’Arciconfraternita della Misericordia e la Società Esecutori di Pie Disposizioni, della quale è stato Rettore dal 1987, Carnesecchi si è sempre distinto per una sua schietta indipendenza. Non era tagliato per la politica dei partiti. Non saprei dire a quale gruppo o corrente appartenesse. Gli piaceva l’impegno pubblico a favore delle persone. Mel 1993 fu chiamato a capeggiare la lista della Dc alle elezione amministrative. Prese più voti della lista (22, 3%) ma al ballottaggio perse, com’era inevitabile. Fu quello un anno di svolta nelle vicende senesi. Aveva un piglio burbero, che velava un tenace e cordiale senso dell’amicizia anche verso chi la pensava diversamente. Ricordo tante animate discussioni con lui che citava ogni poco Paul Samuelson, il Nobel venerato come una bibbia dell’economia che tentò di rendere dinamico lo schema keynesiano. Da ultimo viveva appartato ai Cappuccini. E la morte, recente, della moglie Giorgina l’aveva prostrato oltremisura. Era anche lei una presenza eccezionale in quell’Università che intratteneva con la città un dialogo continuo e sfornava un ceto dirigente che ha lasciato il segno. Se n’è andato in una Pasqua strana, e chi lo ha stimato e considerato un amico autentico non gli ha potuto porgere il saluto estremo. Ha ripercorso mentalmente il filo di colloqui, incontri, polemiche come se fosse ancora qui, a protestare e a fare. Con la mai esibita dedizione di chi non teneva ai riconoscimenti ufficiali, ma badava ai risultati da ottenere, ai progetti da costruire con realismo e generosità.
Roberto Barzanti