Torna a Siena una bella e rara opera del pittore ed architetto senese Arturo Viligiardi.
Si tratta di un olio su tela di medie-grandi dimensioni dal titolo “Siena in sacrestia”, datato 1907 e dedicato dal famoso artista, nato nel 1869, all’amico Galileo Barucci, “professore di disegno in diversi istituti piemontesi, autore di disegni e rilievi per volumi illustrati (Il castello di Vigevano nella storia e nell’arte, Vigevano 1909, Casa Cavassa in Saluzzo, Saluzzo 1912) e di numerosi manuali di disegno e storia dell’architettura per le scuole” come ricorda Sabrina Spinazzè che ne ha curato la scheda per la casa d’aste milanese che l’ha ceduta.
L’opera, infatti, è stata battuta pochi giorni fa durante una asta di ben 144 importanti lotti d’arte per soli 768 euro (il valore è molto più alto anche per ciò che rappresenta) e se l’è aggiudicata un collezionista senese. La tela di Viligiardi apparteneva da molti anni a Bruno Mantura, studioso d’arte, critico e funzionario della Galleria d’arte Moderna di Roma, che la esponeva nella sua casa di Campo de’ Fiori.
Il dipinto “Siena in sacrestia” è profondamente imbevuto di umori simbolisti ed è tra i pochi esempi noti della sua pittura di cavalletto: “Se la materia pittorica densa e la pennellata larga, libera e scomposta mostra chiaramente la riflessione sull’esperienza di Antonio Mancini e, più in generale, sulla produzione artistica napoletana di fine secolo, che Viligiardi aveva potuto conoscere in maniera approfondita durante un soggiorno a Napoli nel 1899 – spiega il critico d’arte Sabrina Spinazzè – di notevole interesse e originalità è l’impaginazione della scena: un dettaglio ravvicinato – di gusto pienamente simbolista – di un interno di sacrestia, con cinque giovani che portano ceri accesi raccolti intorno alla base di un candeliere processionale su cui si avvolgono rami d’olivo. L’inquadratura dell’immagine, con le quattro teste viste di spalle o di profilo e di cui cogliamo solo alcuni dettagli dei capelli e del volto, mostra una chiara riflessione sul linguaggio fotografico, in quegli anni al centro dell’interesse degli artisti più aggiornati.
Dell’ambientazione retrostante, forse dei tendaggi, poco si evince mentre a catalizzare l’attenzione è il viso del quinto ragazzo che, parte in piena luce e parte avvolto in una suggestiva penombra, guarda fisso verso lo spettatore. Uno sguardo carico di mistero che porta con se sia l’inquietudine dei ritratti di Mancini che le tensioni spiritualiste d’inizio secolo”.
Il dipinto di Viligiardi torna quindi nella terra in cui è stato realizzato oltre un secolo fa e potrebbe essere tra le opere in esposizione in una futura mostra sul purismo senese che il collezionista Marcello Bianchi vorrebbe realizzare con l’aiuto dell’amministrazione comunale, proposta avanzata pubblicamente nel 2019. Sarebbe senz’altro un grande evento culturale.
Infatti, proprio Arturo Viligiardi, oltre a contribuire al Piano Regolatore del 1932, autore del Palio del 1894 vinto dal Bruco, si formò nell’ambiente purista senese dominato dalle figure di Alessandro Franchi e Luigi Mussini: “ Giunge nel 1888 a Roma – sottolinea ancora Spinazzè – dove lavora nel cantiere degli affreschi del Senato accanto a Cesare Maccari, maestro che seguirà poi sia a Genova per la decorazione della cappella della Consolazione sia nel santuario di Loreto, subendone una marcata influenza.
Molto attivo soprattutto tra Roma e la Toscana nella pittura sacra e nella decorazione di edifici religiosi, a partire dalla metà degli anni Novanta Viligiardi mostra nella sua produzione una decisa virata in direzione simbolista, particolarmente evidente in opere come Sul calvario (1894, collezione privata), Il purgatorio (1895, ubicazione ignota), o Parabola delle vergini (1895, collezione privata),vaste tele che si caratterizzano per l’audacia del taglio compositivo e degli effetti luministici e in cui il tema sacro è interpretato con sensibilità visionaria”.