
Il 22 febbraio 1300, nel giorno della Festa della Cattedra di San Pietro, Bonifacio VIII indiceva il primo Giubileo della cristianità, facendone retroagire gli effetti al 25 dicembre 1299: la data, per l’Urbe, dell’inizio dell’anno (stile a nativitate Domini). In tal modo il Papa approvava e regolamentava quel movimento religioso di popolo che, spontaneamente sorto, aveva iniziato il pellegrinaggio presso le tombe degli Apostoli Pietro e Paolo, convinto, sulla base di una tradizione orale (la Antiquorum fida relatio con cui ha inizio la Bolla giubilare), di poter lucrare in tal modo l’indulgenza plenaria.
Fra gli elementi storicamente caratterizzanti quell’evento – così come ci vengono narrati dal cardinale Iacopo Caetani Stefaneschi nel De centesimo anno seu jubileo liber – emerge che lo scrittore pontificio Silvestro di Adria, che fu il vero e proprio banditore del Giubileo bonifaciano, accompagnava la lettera con la quale comunicava l’avvenuta indizione dell’Anno Santo con tre versi “leonini”: “Annus centenus Rome semper est jubilenus / Crimina laxantur cui penitet ista donantur / Hoc declaravit Bonifatius et roboravit”: testo che può essere così tradotto in lingua italiana: “Il centesimo anno a Roma è sempre giubilare. Si cancellano le colpe e a chi si pente viene dato il perdono. Così ha stabilito e deciso papa Bonifacio”. Recitati dai pellegrini che si recavano a Roma, essi erano destinati a divulgare l’evento giubilare. Quei versi – e questa iscrizione lapidea è un reperto unico – furono scolpiti sull’architrave del portale di destra del Duomo di Siena (con una piccola variante costituita dal pronome dimostrativo “hoc” modificato in “haec”): una città letteralmente attraversata dalla via Francigena, la strada percorsa anche da chi si recava in pellegrinaggio a Roma. Essi testimoniano, ancora oggi, il profondo legame della Città e della sua splendida Cattedrale, luogo di culto per eccellenza, con quel grande evento spirituale dell’età medioevale: il popolo di Dio, affaticato dal lungo viaggio, dopo essersi recato per pregare nel Tempio senese, dedicato a Maria SS. Assunta, avrebbe poi trovato ospitalità, assistenza e cura, nel vicino ospedale del Santa Maria della Scala.
A tutto ciò si aggiunge l’altro elemento che crea un legame ideale tra la nostra Cattedrale e il Papa anagnino: vale a dire la presenza, nel Tempio della città, del monumento funebre, opera di Tino di Camaino, del cardinale senese, Riccardo Petroni, uno dei preziosi collaboratori di Bonifacio nella redazione del Liber Sextus: testo legislativo di diritto canonico, promulgato due anni prima (1298) dell’indizione del grande Giubileo, di grande importanza non solo per il suo contenuto, ma anche per la innovativa metodologia di redazione.
Giovanni Minnucci
Rettore dell’Opera della Metropolitana di Siena
foto