La protagonista del canto “Giovanottino” è corrosa dall’amore per un ragazzo che le ha fatto perdere la testa e le buone maniere
Nel film “Sedotta e abbandonata” di Pietro Germi una giovane donna siciliana, interpretata da Stefania Sandrelli, viene concupita carnalmente dal promesso sposo della sorella di lei, di cui era segretamente innamorata. Una situazione simile deve essere accaduta alla protagonista di “Giovanottino”, un canto popolare conosciuto e apprezzato per il suo sapore dolceamaro. A differenza della grande commedia del 1964, nel testo della canzone non c’è un matrimonio riparatore. C’è, comunque, l’idea di una giovane ragazza conquistata da un lui che poi lei fa perdere la testa e le buone usanze, parliamo di tempi andati, come quella di andare a messa. L’innamoramento della protagonista è tale da scordarsi le preghiere o la strada verso la chiesa. La donna rimpiange il momento in cui ha incontrato il “giovanottino”, ma, come spesso succede nell’amore dove i sentimenti sono contrastanti, pensa di poter alleviare la sua lontananza rimembrando il suo nome.
Questo canto è formato da due parti, con una strofa musicalmente più allegra e un ritornello più malinconico. Dell’inciso è possibile ritrovare alcune versioni alternative, per esempio quella segnalata dal Giannini che fa: “Giovanottino, m’hai ridotto tale/ Vado alla messa, e non so dove sia./ Sapevo le parole del messale,/ Adesso non so più l’avemmaria:/ Quant’era meglio non t’avessi amato!…/ Sapevo il Credo, e me lo son scordato”. Il Tigri, invece, ne cita un altro: “Dimmi, bellino, com’i’ ho da fare/ Per poterla salvare l’anima mia?/ I’ vado ‘n chiesa e non ci posso stare,/ Nemmen la posso dire l’Ave Maria:/ I’ vado ‘n chiesa, e niente posso dire,/ Ch’i’ ho sempre il tuo bel nome da pensare:/ I’ vado ‘n chiesa, e non posso dir niente,/ Ch’i’ ho sempre il tuo bel nome nella mente”. Il sito web della Contrada della Lupa, dove vi è un’interessantissima sezione dedicata agli stornelli senesi, riporta una piccola variante della prima strofa: “Giovanottino mi piacete tanto, più che non piace il mare alle sirene/ E quando non vi vedi piango tanto, che non mi scorre il sangue nelle vene”.
Le origini di questo canto sono incerte, forse non sono nemmeno genericamente toscane, perché nella tradizione popolare italiana è possibile trovare una canzone gemella, dal titolo “Meglio sarebbe”. In questa, però, i ruoli sono invertiti, con una tal Rosina a fare le parti della seduttrice. Come in un’addizione, invertendo gli addendi il risultato non cambia, perché in amore vince chi fugge.
Giovanottino tu mi piaci tanto, mi piaci come il mare alle sirene,
ed è per questo che stasera canto, canto per raccontarti le mie pene.
Meglio sarebbe se non ti avessi amato
sapevo il Credo e l’ho dimenticato,
or non sapendo neppur l’Avemaria
come farò a salvar l’anima mia.
Giovanottino m’hai ridotta male, andavo a messa e non so dove sia,
sapevo le parole del messale e ora non so più l’Avemaria.
Meglio sarebbe se non ti avessi amato
sapevo il Credo e l’ho dimenticato,
or non sapendo neppur l’Avemaria
come farò a salvar l’anima mia.
E quando non vi vedo e non ti sento, del nome mi ricordo e mi contento;
e quando non vi vedo e non vi trovo, del nome mi ricordo e mi consolo.
Meglio sarebbe se non ti avessi amato
sapevo il Credo e l’ho dimenticato,
or non sapendo neppur l’Avemaria
come farò a salvar l’anima mia.
Emilio Mariotti
(Riferimenti bibliografici / Aa.vv.- Di Siena la canzone, Nuova Immagine ed. Siena 2004; G. Giannini – Canti popolari toscani, Barbèra, Firenze, 1902; G. Tigri, Canti popolari toscani; http://www.contradadellalupa.it/PAGINE/Stornelli.asp )