È tempo di misurare l’efficacia del Reddito di cittadinanza: l’analisi Inps 

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Quasi 20 miliardi di euro erogati in 2 anni e 9 mesi di tempo: i numeri del resoconto sull’applicazione del Reddito di cittadinanza, in base ai dati esaminati dall’Inps da aprile 2019 a dicembre 2021, non lasciano spazio a interpretazioni.

Dall’analisi emerge che circa il 70% dei nuclei beneficiari tra aprile e giugno del 2019, a dicembre 2021 percepiva ancora il reddito, e questa constatazione apre una serie di riflessioni sull’efficacia della misura adottata.

L’interrogativo che ha sempre accompagnato il Reddito di cittadinanza dal suo esordio riguarda il fine reale della misura: è necessaria per contrastare la povertà o è funzionale e utile per favorire l’ingresso nel mercato del lavoro? 

Il resoconto dell’Inps è chiaro: solo 3 persone su 10 hanno probabilmente trovato un lavoro, e per quanto si possa cercare la ragione di un riscontro così limitato nella pandemia che ha esacerbato le condizioni occupazionali, purtroppo il salto occupazionale per chi l’ha percepito non c’è stato. Quindi, le domande lecite sono: A cosa è servito? Che cosa non ha funzionato?

Se nel 2020, come certificato dall’Istat, avevamo più di 5,6 milioni di poveri assoluti e dal resoconto Inps in totale il Reddito di cittadinanza ha raggiunto in 33 mesi 4,65 milioni di persone con almeno il pagamento di una mensilità, certamente un aiuto a una parte dei meno abbienti, seppur in alcuni casi in maniera temporanea, tale misura lo ha dato. Precisamente più di 18 mensilità per sei nuclei su dieci. Al netto sempre degli approfittatori che non sono mancati.

Tuttavia, anche se coloro che ricevono il Reddito di cittadinanza da più tempo sono quelli che vivono situazioni più sfavorevoli, la misura è servita come aiuto solo a una fetta di reali bisognosi. La conclusione amara è che non è avvenuto il passaggio all’occupazione proprio per chi oggi non riesce a trovare lavoro.

Pensate che, in teoria, è “occupabile” meno del 60% dei soggetti beneficiari, e tra loro, solo il 30% ha avuto almeno un contratto di lavoro. Persone lontane dal mercato che dovrebbero essere reintegrate tramite meccanismi intermedi, con la giusta formazione e il graduale inserimento. Sembra proprio che il circuito che avrebbe dovuto generare occupazione non abbia funzionato.

Nella recente Legge di Bilancio c’è stata una stretta sulla misura con la conseguenza di revocare il sussidio al secondo rifiuto di un’offerta di lavoro congrua, per cui vedremo cosa accadrà, se ciò consentirà una migliore distribuzione delle risorse, permettendo al beneficio sussidio di essere il volano per il vantaggio occupazione.

Dal mio punto di vista il bilancio è negativo soprattutto per la fetta importante di poveri assoluti che sono rimasti esclusi. Da uno studio recente della Caritas sono il 56%. Poveri assoluti rimasti senza sostegno per motivi diversi, certo, dal non averlo richiesto perché probabilmente non sapevano come fare, piuttosto che per le maglie dei requisiti di accesso del Reddito di Cittadinanza non capaci di arrivare alla giusta destinazione.

Forse è arrivato il momento che queste due piaghe, la povertà e il non essere occupabili, cerchiamo realmente di curarle. 

Maria Luisa Visione