Probabilmente si tratta di uno dei momenti più critici nella storia del Monte dei Paschi; è certo invece che mai come adesso il tradizionale rapporto di fidelizzazione che lega dipendenti e parti sociali a piazza Salimbeni sia stato palesemente tradito, bruciando di fatto nel volgere di pochi mesi un patrimonio sul quale la banca e la città hanno costruito solide fortune.
Al sindacato oggi interessa il futuro. Il futuro di migliaia di famiglie e quello di un tessuto sociale che con il Monte è legato a doppio filo.
Ecco perché in questo clima inedito l’impegno e la presenza saranno moltiplicati, nella convinzione che oggi più che mai la partecipazione dei lavoratori sia indispensabile. E’ in questa ottica che torniamo a riflettere su quella delibera del Cda, con la quale si dà mandato al Direttore Generale di ridurre le spese del personale con misure assolutamente traumatiche. che si sono rivelate inopportune nei metodi, nei tempi e naturalmente nei contenuti.
La forma è stata infatti del tutto ignorata, con un’autentica negazione verso corrette e costruttive relazioni sindacali. Il sindacato non è stato assolutamente informato sull’inattesa piega degli eventi. Anzi i primi incontri con il Direttore Viola erano improntati ad un clima collaborativo. Vale a dire che segnali di misure drastiche erano totalmente assenti, impensabile dunque che in pochi giorni si arrivasse a dichiarare nei fatti uno stato di crisi.
Non più tardi di 8 mesi fa del resto, e affrontiamo così anche l’aspetto dei tempi, la banca annunciava alle parti sociali 400 nuove assunzioni, mentre sono addirittura dell’autunno le dichiarazioni dell’allora d.g., riportate anche a mezzo stampa, in riferimento al generale buon andamento della rete filiali con specifici riferimenti ai problemi di liquidità della proprietà (Fondazione) che assolutamente non coinvolgevano la banca.
I contenuti del piano aziendale sono naturalmente il nodo cruciale della questione. Colpisce intanto anche sul piano umano la pressione morale tesa alla divisione generazionale. Da una parte le misure drastiche, dall’altra lo spauracchio dei licenziamenti, che coinvolgerebbe in primis proprio i più giovani. In un’Italia che si interroga sulla sproporzione evidente rispetto agli altri paesi europei in merito ai compensi dei manager in relazione a quelli degli impiegati, si decide di imboccare una via pericolosamente in controtendenza.
A prospettare il piano lacrime e sangue a Siena sono stati incomprensibilmente un Cda in scadenza e un presidente che ha dichiarato di voler tornare al suo vero lavoro. Tradotto in altri termini non vorremmo che i sacrifici proposti nella delibera del Cda andassero a pesare esclusivamente sui lavoratori senza prestare sufficiente attenzione sui nuovi impegni di spesa che richiederà il futuro manegemant .
Del resto un anno fa l’esodo pensionistico, allargabile anche alle filiali, poteva essere tranquillamente percorso senza traumi per i colleghi coinvolti, è quanto il colosso Intesa ha fatto. Con la stretta sulle pensioni respirabile ben prima dei tempi Fornero sarebbe stata questa la scelta più logica, che non è stata percorsa. Andando oltre si potrebbe dire che all’indomani di ognuna delle tre fusioni sarebbe stato logico uno step di verifica esuberi, tramite il quale procedere a uscite non traumatiche. Alla dirigenza del Monte dei Paschi chiediamo di rivedere la posizione sui contenuti della delibera riprestinando quel giusto equilibrio capace di gestire questa difficile fase economica .
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