Massimo Reale: “Siena è il posto dove finiscono i miei sogni”

L’attore Massimo Reale si racconta dopo il successo ottenuto – con Marco Giallini – grazie alla fiction ‘Rocco Schiavone’ andata in onda sulla Rai, che ha vinto a colpi di share le altre reti. Un attore profondo e un amore innato, quello per Siena

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“Siena è il posto dove finiscono i miei sogni”. Lo dice col tono languido di chi in qualche modo appartiene davvero a questa città, a chi ce l’ha appiccicata addosso nonostante un luogo di nascita diverso. Massimo Reale torna a Siena per salutare gli amici e mangiare, goloso, omini natalizi di pan di zenzero, perché di questa città non può fare a meno, perché qui esprime completamente – lo dimostrano anche i tanti suoi lavori, documentari e libri – la sua passione per i cavalli, per il Palio, per l’antropologia (forse per questo è così legato alla figura del compianto professor Alessandro Falassi), per la psicologia della città.

Massimo, torni qui oggi per salutare gli amici prima delle Feste natalizie. Come trovi la città?

” Io amo Siena quanto Firenze che mi ha dato i natali, ci vengo fin da quando ero piccino. Mia nonna e le sue sorelle erano dell’Oca e lavoravano a servizio del sor Nello che, mi ricordo, andava in giro con un papero vero. Così ho imparato subito ad amare questi luoghi e ho molte amicizie anche se non potevo frequentare la Contrada tutti i giorni. Oggi credo che Siena, luogo dove tutti i miei sogni si concentrano e finiscono, debba rivedere la sua posizione: non può pensare di essere avulsa dalla contemporaneità, soprattutto oggi che il rapporto con il territorio è più labile. Perché è quando si pensa di possedere un tesoro intoccabile che il mondo te lo distrugge. Allora le Contrade rimangono il baluardo della gloria che è stata, ne sono memoria ma anche presente ed è importante il loro ruolo nel mantenere questo quadro con la capacità, però, di comunicare. Le cose cambiano ed è necessario costruire – dato che non si può impedirla –  una comunicazione diversa di ciò che è la città con tutte le sue componenti”.

L’importanza della comunicazione, appunto. Su questo si è costruita l’aspra critica da un lato, il successo dal’altro (per la prima volta Raidue ha battuto Canale cinque), dell’ultima fiction che ti ha visto protagonista con Marco Giallini, sulla Rai: “Rocco Schiavone”. Il ritratto (la serie tv è tratta dagli omonimi racconti noir di Antonio Manzini) di un poliziotto in qualche modo corrotto e vizioso, pur sempre un grande uomo dall’animo nobile

“Vero. Le critiche sono arrivate soprattutto per il messaggio, considerato negativo per i ragazzi e per la prima serata Rai. Ma si deve essere realisti: oggi si fanno i conti con Netflix, con Sky, con nuovi strumenti e con target diversi rispetto a quelli che hanno amato la Rai degli anni Sessanta. I ragazzi hanno accesso a tutto, credo sia giusto trasmettere un messaggio veritiero”.

Una bella produzione, tra l’altro. La regìa, del resto, è di Michele Soavi e si vede tutta la sua maestrìa e l’esperienza anche con Dario Argento e Lamberto Bava, anni di horror e noir…

“Già. Non a caso Soavi è il regista di culto di Quentin Tarantino e di molti altri. Non a caso interpreta alla perfezione i luoghi del romanzo. La Val d’Aosta, gli angoli più nascosti e anche macabri a volte ma estremamente affascinanti. Paesaggi noir, appunto”.

Il tuo ruolo, in questa fiction di successo, è quello di un anatomo patologo particolare. A cominciare dal cognome: Fumagalli. Tipico di Milano ma lo porta un toscano all’apparenza svampito ma fondamentale nelle storie: il suo rapporto con Schiavone è determinante. Sdrammatizza e dà vigore, anche nei dettagli: come un tramezzino mangiato mentre si apre un cadavere. Un’immagine che forse avvicina più il pubblico a certi tipi di professioni. Un po’ come il rapporto che si vede nelle serie americane, tra medico legale e investigatore…

“E’ stato bellissimo interpretare Alberto Fumagalli. Così come lavorare con Marco Giallini, grandissimo attore. Sono un medico legale vagamente retrò che passa la sua vita a fare autopsie e si muove tra i cadaveri con la naturalezza con cui una massaia si muove in cucina. Con Schiavone è un rapporto quindi credibile, vero, un’amicizia che va avanti da anni e che si basa sulla realtà, anche cinica. Tutto si racchiude nella frase che Fumagalli dice a Schiavone: ‘Il mio compito è leggere i cadaveri, il tuo capire perché lo sono diventati’.

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Due attori, tu e Giallini, alla vecchia maniera. Ore e anni di lavoro, di esperienza, di ricerca di insegnamento con i migliori nomi del teatro e del cinema italiano. Tu hai iniziato che eri un bambino, molti poi ti ricordano anche come il Giampiero Montini, il ‘tre quarti di sangue reale’ di Classe di Ferro. Quanto è cambiato lo scenario dello spettacolo?

“Quando ho cominciato era come hai descritto tu, oggi no. Oggi non si investe più sul talento ma, più spesso, sulla bellezza. Più che l’attore, si sceglie il modello. E allora le compagnie teatrali che producevano i grandi talenti sono state ridotte forse a due persone”.

Eppure la tendenza, pensando a serie di successo come quelle prodotte da Sky, per fare un esempio, è ricercare la bravura e non la bellezza…

“Sì, infatti ci torneremo. E’ necessario, non solo nel mondo dello spettacolo, tornare al talento e non alle strade facili, alle raccomandazioni. e vale per ogni ambìto”.

Dalla commedia al noir, il tuo è un percorso lungo. Quale il ruolo che ti manca e che vorresti?

“Il cattivo”.

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Katiuscia Vaselli