Anna Gorini, Una straordinaria antipatica

Sono ormai trascorsi quasi diciassette anni dalla morte di Oriana Fallaci, avvenuta il 15 settembre del 2006 a Firenze. Diciassette anni sono pochi e sono tanti. Sono pochi per determinare la centralità o la marginalità di un autore rispetto a un canone letterario che, specie se si ha a che fare col Novecento italiano, appare straordinariamente mobile. Sono tanti, invece, diciassette anni, per affrontare con serenità il discorso relativo al valore estetico di uno scrittore, istituendo gerarchie di valore tra le sue opere ed evidenziandone pregi e difetti. Nel caso di Oriana Fallaci, però, diciassette anni non sono né pochi né tanti. Semplicemente, è come se il tempo non fosse mai trascorso dal giorno della sua morte: infatti, come lei alla comunità letteraria non appartenne in vita, così continua a non appartenere da morta. Emarginata, espulsa, bandita. Ostracizzata e dimenticata. Una conferma in tal senso ci è offerta dai manuali in adozione nel triennio della scuola secondaria superiore. Una rapida ricognizione dei testi adottati, anche dei più recenti, rivela o il completo passare sotto silenzio il nome dell’autrice o il relegarla sotto la voce “Il giornalismo italiano nella storia del Novecento” (è quanto fanno Guido Baldi ne “Il piacere dei testi” e Romano Luperini ne “La scrittura e l’interpretazione”). A quanto mi risulta, Giorgio Barberi Squarotti è l’unico – in “Contesti Letterari” – a parlare della Fallaci come di una scrittrice, collocandola accanto ad Anna Banti, Lalla Romano, Dacia Maraini. Anche Guido Armellini – in “Con altri occhi” –, a dire il vero, le riconosce tale status, salvo, però, relegarla nel paragrafo intitolato “La narrativa di intrattenimento” e accostandola a Susanna Tamaro come esponente della cosiddetta “Narrativa kitsch”.

Perché ciò è accaduto e continua ad accadere? Perché, nonostante il grandissimo successo di pubblico, in Italia e nel mondo, iniziato già negli anni Sessanta, Oriana Fallaci sembra agli occhi degli addetti ai lavori non avere mai compiuto (ma le cose stanno davvero così?) quel passaggio dal giornalismo alla letteratura, che pure lei stessa per prima auspicava? Ed è forse questa la ragione autentica che spiega l’esiguo numero di biografie e di monografie che la riguardano? Il saggio appena uscito di Anna Gorini, intitolato “Una straordinaria antipatica. Oriana Fallaci giornalista e scrittrice”, oltre che colmare una grave lacuna a livello di bibliografia, consente di fornire una risposta a tali (e anche a molti altri) interrogativi. Dopo il capitolo iniziale (“La vita e le opere: ‘in prima persona’”), che intreccia in una felice sintesi biografia e produzione letteraria, la studiosa si sofferma sulle interviste fatte ad alcuni autori della scena nazionale e internazionale, da Curzio Malaparte a Salvatore Quasimodo, da Arthur Miller a Ray Bradbury (“Le interviste letterarie e la definizione di uno stile”). Nel terzo capitolo, poi, intitolato “Lettera a un bambino mai nato: l’invenzione inattesa di un’opera militante”, a venire chiarito, anche grazie a precisi riferimenti ai testi, è il significato che la parola “militanza” ebbe per Oriana Fallaci. Lo stesso dibattito suscitato dalla pubblicazione nel 1975 del più famoso “figlio di carta” della scrittrice fiorentina, vale a dire “Lettera a un bambino mai nato”, dibattito che Anna Golini ricostruisce con straordinaria precisione, offre una preziosa testimonianza in tal senso. Da ultimo (“Oriana Fallaci: scrittrice, personaggio, mito”), attraverso la ricognizione della ricezione critica, a venire ricostruito e ripercorso è il progressivo crearsi del “personaggio” Fallaci, al quale, nel corso del tempo, hanno guardato, non a caso, il cinema e la televisione, il teatro e l’arte. Il passo che segue è tratto dall’Introduzione:                   

“A Oriana Fallaci è toccato il destino di trovarsi al centro dei grandi eventi del suo tempo, di esserne protagonista, oltre che testimone. Nelle vicende vissute da giovanissima partigiana durante la Seconda guerra mondiale, negli stati d’animo di quegli anni, nell’obbligo di reprimere la paura, nell’atteggiamento determinato e irreprensibile dei genitori ha origine il paradigma di tutta la sua eccezionale e complessa esistenza, condotta al limite del possibile, sia nell’agire reale sia nell’impegno a coltivare di sé un’immagine eccellente, a corollario di un continuo susseguirsi di primati professionali. Dopo un avvio così intenso, forse era inevitabile che la sua vita proseguisse nel continuo dialogo – e sfida – con la storia della seconda metà del Novecento. È anzi questo uno degli aspetti cruciali dell’autrice, la cui figura esprime completamente il suo significato quando è considerata come espressione di una concezione dell’esistenza mai privata, ma sempre storica, cioè calata in una dimensione nella quale l’individuo è per prima cosa cittadino, obbligato a una funzione politica e ideale che lo porta a relazionarsi innanzitutto con la sfera pubblica.In questa chiave si può comprendere la multiformità di Oriana Fallaci – delle sue opere e del suo personaggio – impegnata costantemente a esercitare la sua cittadinanza, come persona del suo tempo, desiderosa di esserne parte, libera dalle limitazioni rappresentate dal genere, dalla corporeità, dalle distanze, dalle convenzioni”.

Anna Gorini, Una straordinaria antipatica, Carocci, Roma 2023

 

a cura di Francesco Ricci