Francesco Ricci presenta “Tre donne” a Milano alla Biblioteca Sormani, Sala del Grechetto.
Tre donne è un libro che io continuo ad amare, molto. Tale affermazione può apparire scontata, ma non lo è. Non è vero, infatti, che uno scrittore ama ogni libro che ha scritto. Sullo stesso piano io metto i miei figli, sullo stesso piano io metto i miei genitori, forse alcuni dei romanzi che ho letto. Non certo, però, i libri che ho scritto. Il tempo – ciascuno di noi lo sa bene – cambia le opinioni, cambia i giudizi, e ci sono dei saggi che, in vista di una nuova edizione, personalmente alleggerirei nell’apparato delle note, semplificherei nella sintassi, forse mi spingerei a sostituirne alcune pagine. Di Tre donne, invece, non c’è una sola parola che cambierei.
Lo ho scritto durante un periodo di insoddisfazione e di bisogno. Insoddisfazione nei confronti di una saggistica, la mia, informata, colta, credo anche ben fatta, ma fredda, terribilmente fredda. Bisogno di gettare un po’ di luce su quel mistero – quell’enigma, avrebbe detto Freud – che è costituito dalla donna. Parlare di Anna Achmatova, Alda Merini, Antonia Pozzi, le tre donne del titolo, è stata l’occasione per parlare anche di me, delle donne che ho conosciuto (e amato), dell’ammirazione sconfinata che porto alla complessità e alla profondità femminile, della grandezza della poesia che, quando è vera poesia, brucia e cancella ogni distinzione di genere. E lo ho fatto trovando per la prima volta uno stile che si avvicina terribilmente a quello che sento essere il mio stile, che si pone a metà strada tra il rigore del saggio e il lirismo incandescente della creazione artistica. Uno stile che ad alcuni lettori potrà apparire anche brutto, ma che io sento appartenermi non meno di quanto mi appartenga un respiro o un moto del cuore.
Se lo stile, come scriveva Gustave Flaubert a Louise Colet, è “un modo assoluto di vedere le cose”; con Tre donne ritengo di avere trovato il mio sguardo sul mondo degli uomini, sul mondo delle cose, sul mondo della storia. Parlare di Anna, di Alda, di Antonia, partendo per ciascuna di loro da una lirica, ha comportato non solo che mi immergessi nelle profondità del loro io, dove i fiori del male crescono accanto alla bellezza che incanta e rapisce, ma anche che mi confrontassi con tutte le zone d’ombra e le violenze di cui è tramata la Storia, e che a Milano, non meno che a Leningrado, rendono spesso ogni uomo, ogni donna, una vittima e un emarginato dalla vita. Quello che segue è il quarto paragrafo del capitolo dedicato ad Anna Achmatova, la più grande poetessa russa del Novecento assieme a Marina Cvetaeva.
“Quando in un giorno di fine novembre del 1945 il trentacinquenne Isaiah Berlin (1909-1997), allora addetto culturale dell’ambasciata inglese a Mosca, le bussò alla porta di casa, a Leningrado, sulla Fontanka, Anna Achmatova (ma il suo vero nome era Anna Andreevna Gorenko) aveva cinquantasei anni (1889-1966) e tre matrimoni falliti alle spalle. A metterli in contatto era stato un noto critico e studioso di letteratura, incontrato per caso da Berlin mentre si trovava nella Libreria degli Scrittori, sul Nevskij Prospekt. L’appartamento, in cui Anna Achmatova viveva, era piccolo e spoglio (qualche sedia, un tavolino, un divano, una vecchia cassapanca), impreziosito unicamente da un disegno di Modigliani posato sopra la stufa spenta. Ma proprio quello squallore finiva col fare spiccare ancora di più la bellezza maestosa della scrittrice russa, che la rendeva simile a una regina tragica: “Anna Andreevna Achmatova aveva un aspetto imponente, gesti pacati, una nobile testa, tratti bellissimi, un po’ severi, e un’espressione di infinita tristezza”. Dalle nove di sera fino al mattino inoltrato Anna Achmatova e Isaiah Berlin rimasero al chiuso di quel modesto appartamento della Casa della Fontana, ora in compagnia di altre persone (un’assiriologa, che era stata allieva del secondo marito della poetessa russa, ed il figlio Lev, nato dal primo matrimonio, quello con il celebre poeta Nikolaj Gumilev), ora, e più a lungo, da soli, leggendo versi, parlando di letteratura e d’arte, raccontando episodi e particolari intimi della loro vita”.
Francesco Ricci, Tre donne. Anna Achmatova, Alda Merini, Antonia Pozzi, Siena, nuova immagine editrice, 2015.
a cura di Francesco Ricci