E se per interrompere i termini di prescrizione, come precisa la lettera in questione, vale la stessa missiva, allora il comune ha fatto un clamoroso autogol, perché non potrà invocare quello che sarebbe stato il legittimo “tempo scaduto” per evitare il suo rinvio a giudizio.
Dunque il Comune di Siena pretende da me, al pari di altre centinaia di dipendenti operativi o in pensione, la restituzione di somme corrisposte per servizi effettivamente prestati al di fuori e in aggiunta alle mansioni ordinarie, usualmente definiti come “indennità orarie”, “turnazione”, “disagio”, “prestazioni notturne o festive”, “orario flessibile”.
Si tratta di prestazioni non previste nel contratto nazionale di lavoro, ma ritenute indispensabili per il buon funzionamento dell’ente e pertanto concordate tra datore di lavoro e prestatore d’opera attraverso una semplice trattativa sindacale. Praticamente io accetto di eseguire un servizio extra ed il comune mi corrisponde un compenso extra, peraltro senza alcuna riserva di restituzione futura nel caso intervenisse un’autorità terza a decretare l’indebita erogazione. Di questo si tratta: la prestazione extra è stata eseguita ed il compenso extra è stato erogato. Adesso si chiede indietro il compenso, pur nell’impossibilità di restituire la prestazione. Da qui l’ipotesi di truffa, cioè il reato che, a mio avviso, commette un datore di lavoro nel beneficiare di una prestazione promettendo un compenso che poi non paga o che, nel caso specifico, se lo fa restituire in modo forzoso.
Una riflessione: pensare di recuperare parte del deficit accumulato in anni di cattiva amministrazione con un’operazione che penalizza pesantemente dei semplici lavoratori, il cui stipendio o pensione media si colloca tra i 1000-1300 euro mensili, è semplicemente mostruoso ed è indice, non solo di grave dissesto finanziario, ma anche e soprattutto di grande confusione mentale che regna tra gli amministratori.
Valerio Pascucci
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