Una riflessione sulla libertà, sul diritto di voto faticosamente ottenuto dalle donne e sull’attuale sfiducia verso le istituzioni che ha generato un preoccupante fenomeno di astensionismo.
“In multis iuris nostri articulis deterior est condicio feminarum quam masculorum” (“In molte parti del nostro diritto è peggiore la condizione delle donne rispetto a quella degli uomini”). In questi giorni, mentre si celebrano i 70 anni della scelta repubblicana da parte del popolo italiano, si è colta l’occasione, da più parti, di ricordare che quel Referendum istituzionale, tenutosi il 2 giugno del 1946, si era svolto col suffragio universale: ad esso avevano dunque e finalmente partecipato anche le donne che, sino ad allora, erano state tenute accuratamente lontane dalle scelte politiche del Paese.
Ecco perché – mentre ascoltavo davanti al piccolo schermo le testimonianze di alcune splendide e lucidissime novantenni – mi è tornato in mente quel frammento di Papiniano, uno dei maggiori giuristi romani: quel testo, insieme a molti altri (e l’elenco, se si scorrono le pagine scritte nel corso dei secoli, potrebbe essere lunghissimo), attesta come per giungere a quella che a noi sembra oggi un’ovvietà (le donne votano), siano dovuti passare centinaia di anni. In verità, e mi limito solo al nostro Paese, la questione del voto femminile era stata posta più volte dopo l’Unità all’attenzione del Parlamento italiano. Ma senza esito. Così come non ebbe esito positivo la lunga battaglia condotta fuori dalle aule parlamentari, da Anna Maria Mozzoni, a tacer d’altre, tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900. È vero che nel 1925 era entrata in vigore una legge che riconosceva alle donne il diritto di eleggere gli amministratori locali, ma la quasi contestuale riforma in senso “podestarile” eliminò del tutto questa possibilità.
Soltanto nel gennaio del 1945, con Decreto Legislativo Luogotenenziale, si ebbe finalmente il riconoscimento dell’elettorato attivo femminile cui seguì, nel marzo del 1946, quello dell’elettorato passivo. L’emanazione di questi provvedimenti legislativi consentì la partecipazione femminile non solo al Referendum istituzionale e alle elezioni per l’Assemblea costituente del 2 giugno 1946 (dove risultarono elette 21 donne), ma anche alle precedenti elezioni amministrative (sia come elettrici, sia come candidate) che si tennero in molte città italiane nella primavera immediatamente precedente: furono circa duemila le donne elette. Non mi soffermo, volutamente, sulla formulazione dell’art. 48 della nostra Costituzione, così come sulla “parità di genere” inserita nell’art. 3 della nostra Carta: occorrerebbe ben altro spazio.
Credo, però, che in un’epoca nella quale la sfiducia verso le Istituzioni e la politica in genere, sta generando un preoccupante fenomeno di astensionismo generalizzato, occorra tornare a riflettere e meditare sulla nostra storia antica e recente. Non si può rinunciare a cuor leggero alle conquiste frutto di battaglie di civiltà. Non sarà inutile, a questo fine, rileggere quanto sosteneva Piero Calamandrei nel gennaio del 1955. Sono passati più di sessant’anni ma a me pare un testo ancora di grande attualità:
“…la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile. Bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità; per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica… E’ così bello e così comodo. La libertà c’è, si vive in regime di libertà, ci sono altre cose da fare che interessarsi di politica. E lo so anch’io. Il mondo è così bello. E vero! Ci sono tante belle cose da vedere, da godere oltre che ad occuparsi di politica. E la politica non è una piacevole cosa. Però, la libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai. E vi auguro, di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno, che sulla libertà bisogna vigilare,vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica…”.
Alla vita politica, di qualsiasi Istituzione, si può contribuire in molti modi: uno, forse il più importante, è il libero esercizio del diritto di voto. Senza esercitarlo la nostra libertà rischia drasticamente di affievolirsi, di ridursi e, alla lunga, di scomparire. E allora ci mancherà l’aria….
Giovanni Minnucci