“La tratta ferroviaria ad alta velocità Roma-Firenze – continua Cenni – rappresenta un’infrastruttura strategica per l’intero centro Italia, utilizzata ogni giorno da centinaia di passeggeri che partono dalla stazione di Chiusi per raggiungere Roma per ragioni di studio o di lavoro. Sopprimere il treno della tarda serata, l’unico ad alta velocità rimasto attivo finora, significa privare i pendolari di un trasporto pubblico su rotaia efficace e, dal momento che l’infrastruttura viaria in oggetto è di proprietà dello Stato, e quindi sovvenzionata dai contribuenti, ci dovrebbe essere un maggiore impegno per promuovere il diritto alla mobilità e il cosiddetto servizio universale. Tanto più che lo Stato si è impegnato, con la delibera del 24 febbraio 2009, presentata a prima firma da Meta e Ceccuzzi e approvata dalla Commissione Trasporti, poste e telecomunicazioni della Camera dei Deputati, a intraprendere tutte le iniziative volte a confermare le attuali fermate del servizio Eurostar e Intercity nelle stazioni di Arezzo, Chiusi e Orvieto”.
“Le indiscrezioni trapelate dai pendolari – conclude Cenni – sembrano trovare una prima conferma nella riduzione del personale della stazione di Chiusi, di cui ha dato notizia qualche giorno fa la stampa locale, e sembrano essere confermate anche consultando il sito di Trenitalia, dove nella sezione informazioni sugli orari, dopo l’11 dicembre non si trova più il treno a rischio di soppressione. Chiediamo quindi al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di fare luce sulla vicenda, chiarendo la veridicità o meno di tali indiscrezioni e, nel caso esse siano vere, di procedere con provvedimenti urgenti per rispettare gli impegni assunti dal Governo con la risoluzione approvata nel 2009. Continuare a sopprimere i servizi di mobilità in tratte strategiche come quella che collega Roma a Firenze, attraversando un bacino di utenza vasto e diversificato che attraversa le province di Siena, Arezzo, Terni, Grosseto e Viterbo, rappresenterebbe infatti un duro colpo per i pendolari, ai quali sarebbe limitato il proprio diritto alla mobilità, senza contare i danni che potrebbero essere arrecati allo sviluppo sociale, economico, produttivo e occupazionale dei territori interessati”.
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