Scatti di piccoli oggetti e particolari dei luoghi della detenzione: scene di vita quotidiana di una casa di reclusione – con le sue dinamiche e le sue limitazioni – che fanno parte della tesi “La foto che parla. Auto-etnografia visuale all’interno del carcere di San Gimignano”.
È così che, raccontando la sua esperienza personale attraverso un obiettivo, uno studente del polo universitario penitenziario dell’Università di Siena si è laureato alla magistrale in scienze internazionali.
L’elaborato è stato discusso a Ranza con la commissione composta dai professori: Gerardo Nicolosi (presidente); Lorenzo Nasi, relatore della tesi; Fabio Mugnaini, correlatore, Massimo Bianchi e Gianluca Navone.
Per la tesi, viene spiegato, il laureando era stato eccezionalmente autorizzato a scattare fotografie all’interno della struttura. E il materiale raccolto è stato usato per il Bright-Night 2023, in un evento svoltosi in Fortezza, alla presenza del Rettore Roberto Di Pietra. Nei prossimi mesi la mostra sarà esposta presso le sedi universitarie.
Per il relatore Lorenzo Nasi il lavoro è stato “innovativo” perché, afferma, “per la prima volta, grazie all’autorizzazione concessa dalla Direzione dell’Istituto penitenziario, alla disponibilità dei funzionari e di tutto il personale di sicurezza, lo studente ha realizzato un percorso di elaborazione fotografica della propria esperienza in carcere, scattando una serie di fotografie, come dati visuali in grado di poter spiegare e comprendere una realtà complessa come quella del carcere”.
“Una sorta di auto-etnografia, attraverso la quale, nella sua duplice veste di narratore e protagonista della storia, di osservatore e osservato, lo studente ha ripercorso visualmente la propria esperienza, intraprendendo un lavoro di scrittura e narrazione visiva tra introspezione e analisi, mirato alla comprensione del proprio quotidiano e del proprio Sé, tra strategie di adattamento e resistenza. Tutto il percorso dello studente è la dimostrazione del ruolo fondamentale che ricoprono l’educazione e la formazione come agenti di riabilitazione e strumenti di resistenza in un contesto come quello carcerario e del grande lavoro del Polo universitario penitenziario”, prosegue.