Sfruttati, assoggettati alle dure regole di datori di lavoro senza scrupoli e guardati a vista perché a capo chino dovevano lavorare 14-15 ore al giorno per una manciata di euro in fondo al mese. Alla fine praticamente non avevano quasi più neppure il nome che li aveva portati in Italia come richiedenti asilo per motivi di lavoro. Loro provenienti dall’Africa ma anche dalla parte della Turchia dove riesiedono i curdi, erano stati assoldati dai titolari di un’azienda agricola con sede a Grosseto e con interessi economici nel Chianti.
Ieri mattina all’alba, i carabinieri di Poggibonsi con i colleghi del Nucleo carabinieri ispettorato del lavoro di Siena, hanno eseguito 3 ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di altrettanti curdi (i titolari dell’azienda che sono due fratelli e il loro caposquadra) che sono ritenuti responsabili di “intermediazione illecita” (caporalato) e “sfruttamento del lavoro”.
L’indagine parte tra febbraio e marzo di quest’anno dopo l’incendio in uno stabile a Radda in Chianti. Una volta spento il rogo, i carabinieri alzano il velo su una realtà che va ben oltre le fiamme. L’appartamento in località Palagio abitato da extracomunitari impiegati nell’agricoltura abitavano in quel tugurio. I successivi accertamenti investigativi, coordinati dal Procuratore della Repubblica Salvatore Vitello e dal Sostituto Nicola Marini consentivano ai militari dell’Arma e al personale dell’Ispettorato del Lavoro di documentare effettivamente le pessime condizioni di vita di circa 40 operai dipendenti di una società d’intermediazione con sede in provincia di Grosseto, che risultavano essere stati sottoposti ad orari di lavoro estenuanti.
Gli operai, come poi appurato, venivano accompagnati con numerosi furgoni sui luoghi di lavoro e costretti a sostenere faticose attività agricole, oltre gli orari contrattualmente concordati. Nel corso dell’indagine venivano individuati due ulteriori appartamenti (definiamoli bonariamente così) a Castellina in Chianti e a Vagliagli, utilizzati quali dormitorio per gli operai.
E qua i carabinieri hanno trovato vari appunti annotati dagli stranieri sulle loro agende personali e vari documenti duali emergeva come gli stessi venissero retribuiti solo per una parte delle ore di lavoro realmente effettuate. Cinque euro ora all’ora contro i 20 previsti, dovevano comprarsi anche gli strumenti per lavorare e se non avevano i soldi venivano loro forniti con relativa decurtazione del costo dallo stipendio.
In sede di ricostruzione delle loro relazioni lavorative con gli intermediari, procacciatori dell’impiego presso alcune aziende agricole, emergevano altresì episodi di maltrattamento e comportamenti vessatori ai quali i lavoratori erano stati sottoposti e ai quali avevano dovuto assoggettarsi, pur di conseguire una retribuzione.
All’interno delle squadre di lavoro organizzate, si era venuta a creare una consolidata gerarchia di disparità nei trattamenti economici, a seconda delle etnie dei componenti delle squadre stesse. Le vittime di tali vessazioni erano altresì costrette a trattenute sullo stipendio, quale corrispettivo dell’acquisto degli strumenti di lavoro che utilizzavano. Nello stesso contesto e per gli stessi reati, venivano indagati atri tre soggetti. La società alla quale fanno capo tutti gli indagati è stata sottoposta, per ordine del gip Malavasi a controllo giudiziario da parte di un commissario all’uopo nominato.
E’ questa la prima operazione messa in atto in Toscana e la seconda a livello nazionale dopo l’entrata della nuova legge contro il fenomeno del caporalato.
La ditta entrata al centro dell’inchiesta come sottolineato durante la conferenza stampa alla quale tra gli altri ha partecipato la dottoressa Rosaria Villani responsabile dell’ispettorato del lavoro è frutto di una sinergia che ha permesso di accertare che la stessa azienda aveva alle sue dipendenze 50 lavoratori tutti assunti con regolare contratto e dichiarava e fatturava oltre cinque milioni di euro.
Gli accertamenti vanno avanti per capire se le altre aziende ( e sono numerose) che usufruivano di quella manodopera fossero o meno consapevoli di come venissero pagati gli operai e in quali condizioni alloggiative fossero costretti a vivere.
Cecilia Marzotti
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