Siena

Compagni di vita: “La fibromialgia non passa mai dal tutto. È come un’onda del mare con cui bisogna conviverci”

Ci sono tanti compagni di viaggio. Alcuni ce li scegliamo, altri ce li troviamo a fianco, magari nel seggiolino accanto in un treno, su un autobus o un aereo. E non puoi cambiare posto. Oppure in una strada che devi percorrere per forza. Quella strada non ti piace, magari, e nemmeno sai dove ti porterà e proprio non vorresti a fianco chi ti sta accompagnando. Così abbiamo deciso di dare voce a tutte quelle persone che si sono trovate “per destino” a compiere una parte del viaggio della vita con quelle che vengono definite malattie rare, malattie invisibili, malattie croniche. Lo abbiamo fatto con due interviste – la prima al professor Bruno Frediani (potete rileggerla qui) e una alla professore Silvia Sestini (qui), rispettivamente direttore del Dipartimento di Scienze mediche e della Reumatologia dell’Aou senese e presidente della Aimaku, l’associazione che segue chi è affetto da Alcaptonuria

 

E’ cominciato tutto con dolori alle braccia e ai polsi. Sono passati sette anni da allora. Rispetto ad altre testimonianze con me la fibromialgia si “comporta” in maniera opposta, ovvero al mattino mi alzo bene ma dopo due o tre ore anche “lei” si sveglia e inizia la sofferenza.

Ed inizia così, senza motivo. Poi il dolore è passato anche alle gambe. I periodi sono altalenanti: non cambio stile di vita o abitudini ma talvolta la sofferenza è stata talmente pungente da non riuscire a camminare. Eravamo sotto Palio, in uno di questi periodi nei quali non muovevo nemmeno un passo, e vedendomi ridotta così un amico di Contrada, fisiatra, mi ha sottoposto ad una serie di analisi dai quali è arrivata la diagnosi.

E dalla diagnosi le prove per trovare una cura che mi desse almeno sollievo. Perché la fibromialgia non passa mai del tutto, varia nel tempo, è ciclica. Come un’onda. E come con le onde del mare devi conviverci. Ma il risvolto più frustrante di una malattia che porta con sé la frustrazione quotidiana (del non essere libera di muoverti, di fare le cose, di andare dove vorresti, di correre, di camminare, semplicemente) si ha nel rapporto con gli altri.

Io non ne parlo perché sembra che racconti favole, oppure che non svolga al meglio il mio lavoro per pigrizia. Allora la nascondo, come una vergogna, per non perdere di credibilità. Per non rischiare di dare appigli che possano farmi rischiare di perdere il lavoro stesso.

Gli amici. Quando ti senti dire “uffa, sei un catorcio”, come se ti lamentassi per niente, ti scoraggi. Loro lo fanno “a battuta”, ma ormai sei stanca anche delle battute che senti ogni giorno sulla pelle. Pungenti come quegli aghi che non ti abbandonano mai.

Rispetto ad altri, comunque, sono fortunata. Io, ad esempio, la notte riesco a dormire e questo sono convinta che sia una grande tregua che la malattia mi concede.

Ogni storia che raccontiamo, però, conduce alla solita riflessione: i medici, pur intensificando gli studi, non hanno ancora capito molto di questa come di altre malattie cosiddette “autoimmuni”. Anche nelle cure, nelle terapie, la sensazione è che si vada “a tentativi”, ma credo che ciò sia dovuto al fatto che in ognuno si manifesta con sintomi simili ma raramente uguali, talvolta totalmente diversi da individuo ad individuo addirittura, tanti sono gli effetti che essa ha sul corpo.

Ed è veramente invalidante, in tutti i sensi. Fisicamente e mentalmente. E spesso mi chiedo, dato che ne soffrono anche ragazzi giovani, che vita potranno avere e penso che il loro futuro non sarà facile se la ricerca non va avanti

E anche se il Ministero non riuscirà nemmeno stavolta, dopo anni di tentativi e discussioni, a farla riconoscere ufficialmente. Questo per tutelare chi ne è affetto da un punto medico, lavorativo e anche psicologico.

Alessandra

marco crimi

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marco crimi

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