“La decisione di metterlo in cassaforte fu mia” ha detto Vigni spiegando che il documento era price sensitive per gli ingenti acquisti di BTp al 2034 che dovevano essere fatti sul mercato. Vigni si è difeso con veemenza nel corso dell’interrogatorio del Pubblico ministero. “Il collegamento delle due operazioni era noto fin dall’inizio, lo sapevano tutte le funzioni della banca e questa è la verità” ha detto l’ex top manager che ha sottolineato come nel corso degli interrogatori resi a febbraio e soprattutto a marzo non ricordasse alcune circostanze anche per la sofferenza psicologica legata al suicidio del portavoce della banca, David Rossi. Riguardo ad Alexandria “non c’era un sotterfugio e non mi sono mai stati fatti presenti elementi di scorrettezza” ha aggiunto. Il titolo Alexandria “non era certo un fiorellino del campo” ha proseguito Vigni, ma la ristrutturazione “non l’ho vissuta con patemi d’animo”. Vigni ha risposto anche sulla famosa conference call del luglio 2009 con Nomura cui partecipò anche il presidente della banca, Giuseppe Mussari, su richiesta della controparte nipponica. Mussari rispose in inglese leggendo un testo già preparato dalle strutture della banca e in particolare da Baldassari, ha ricordato Vigni. Interpellato dal Pm sulla contrarietà alla ristrutturazione di Alexandria dell’allora vice direttore generale, Marco Morelli, Vigni ha risposto che Morelli non fece obiezioni sulla natura dell’operazione ma disse che era meglio non toccare il titolo che al momento non registrava perdite. Un default di Alexandria, ha poi chiarito Vigni, avrebbe provocato alla banca una perdita di 400 milioni da iscrivere in bilancio.