Dopo l’intervento del presidente della Regione, Enrico Rossi, sul palco e nei video si sono alternate le testimonianze sull’Olocausto di alcuni dei protagonisti della Giornata della memoria. Bruno Shlomo Venezia era uno degli addetti al forno crematorio n. 2 di Birkenau e ha raccontato di come era costretto a rimuovere i corpi accatastati nelle camere a gas, tagliare i capelli ai morti e partecipare ai turni di 12 ore per cremare in continuo le vittime dello Ziklon B. Toccante e drammatico il racconto del lattante sopravvissuto al gas perché attaccato al seno della madre, ma ugualmente giustiziato da un feroce SS con un colpo di pistola. “Dobbiamo fare in modo – ha detto Shlomo Venezia – che la memoria dell’olocausto duri tutto l’anno e non un solo giorno”.
Le sorelle Ambra e Tatiana Bucci, 4 e 6 anni all’epoca della deportazione, internate ad Auschwitz nella baracca dei bambini, hanno raccontato di come sono state tatuate perché i nazisti volevano che fossero “non più persone, ma numeri” e di quando non videro più la loro mamma e pensarono che fosse morta, ma al tempo stesso “che la vita continuava” perché alla morte si erano in qualche modo abituate, perché la morte era dappertutto, anche per due bambine di pochi anni. Toccante il loro ricordo del cuginetto Sergio, selezionato insieme ad altri 19 bambini per i terribili esperimenti medici sulla tubercolosi del famigerato dottor Mengele e ucciso dai nazisti il giorno della liberazione di Amburgo, perché non ci fossero testimoni delle atrocità subite.
Marcello Martini, partigiano, aveva 14 anni quando fu catturato e divenne il numero 76430 di Mauthausen. Ha testimoniato della crudeltà degli aguzzini scrupolosamente organizzata, di come i prigionieri dal triangolo rosso, i politici come lui, venissero affittati alle industrie tedesche per ricavarci 250 marchi e di come la sopravvivenza media stimata fosse, per chi era costretto a lavorare 12 ore al giorno mangiando pochissimo, di sei mesi. “Il business dei campi di concentramento – ha detto Martini – con la vendita dei beni e del lavoro degli internati, è stato il più grosso del Novecento, con fiumi di denaro indirizzati verso il sudamerica attraverso la banca Vaticana”.
Antonio Ceseri è uno delle migliaia di militari italiani, sbandati dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943, internato a Treuenbrietzen a 70 chilometri da Berlino e dopo essersi rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò è stato costretto a lavorare nelle fabbriche di munizioni tedesche ed è scampato alla fucilazione di 130 suoi compagni perché protetto dai corpi degli uccisi, 11 dei quali sono rimasti senza nome ma sono ricordati in un cimitero nel quale Ceseri si reca ogni anno in pellegrinaggio.
La testimonianza di Katrin Himmler, nipote del fratello del pianificatore dello sterminio, Heinrich Himmler, ha parlato di quella che Hannah Arendt ha definito “la banalità del male”, spiegando come la famiglia di provenienza fosse di intellettuali non di criminali, ma come tutti aderirono al nazismo e ai suoi programmi nei quali c’era – come ha detto il suo prozio – “semplicemente l’eliminazione del popolo ebraico”. E non solo, visto che oppositori, zingari, omosessuali, e altre categorie sono stati anch’essi uccisi nei campi di sterminio e fuori. “Non erano – ha precisato Katrin Himmler – senza memoria, ma con una loro morale perversa”.