Le imprese artigiane e industriali sono sempre state costrette a pagare due volte la gestione dei propri rifiuti: versando la tassa ai Comuni (senza peraltro ricevere il servizio) e, come se ciò non bastasse, sostenendo i costi per lo smaltimento dei rifiuti prodotti.
La normativa che regola la tassazione sui rifiuti, da sempre “terra senza pace“, sembra aver trovato proprio in questi giorni la prospettiva di un‘applicazione giusta ed equa.
Rispondendo positivamente all’interpello di un’impresa, la direzione Legislazione Tributaria e Federalismo Fiscale del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha aperto una falla nel “muro” di diniego su cui si erano infrante le richieste (reiterate) del mondo associativo in generale e della Cna in particolare.
A seguito di tale interpretazione infatti il ministero dell’Economia – anche per non smentire se stesso – non ha potuto far altro che ribadire il suddetto principio.
Con una risoluzione del 9 dicembre, quindi, ha fornito gli attesi chiarimenti sull’applicazione della Tari “permettendo“ di considerare intassabili le aree su cui si svolgono lavorazioni industriali o artigianali (poiché queste, per loro natura, sono generalmente produttive in via prevalente di rifiuti speciali).
La risoluzione precisa infatti che “nella determinazione della superficie assoggettabile alla TARI, non si deve tener conto delle aree ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente“.
Il Ministero non ha mancato di fare chiarezza anche sull‘assoggettabilità (o meno) delle superfici adibite a magazzino e alle aree scoperte, precisando come tali superfici “devono essere considerate intassabili”, qualora siano produttive di rifiuti speciali. Quanto al potere dei comuni di assimilare agli urbani – per il tramite dei loro regolamenti – alcuni rifiuti speciali, facendoli così rientrare nell’ambito Tari, il Mef precisa che lo possono fare nel solo ambito in cui gli è consentito (ne consegue, indirettamente, che laddove le superfici producono rifiuti speciali non assimilabili non hanno alcun potere di assimilazione).
Tali precisazioni, legittimando la posizione delle associazioni, mettono a nudo l’ambiguità di molti regolamenti comunali e, soprattutto, mettono i comuni nella condizione di decidere, liberamente, al riguardo.
Il “vorrei ma non posso“ con cui troppo spesso sono state accolte le nostre istanze e la duplicazione dei costi sostenuta dalle imprese non hanno, di conseguenza, più ragione di esistere.
Chi davvero “vorrà“ d’ora in poi “potrà“ fare e l’esclusione (o meno) sarà determinata solo dalla tipologia dell’aziende e da quella dei rifiuti prodotti.
Per cogliere tale opportunità, però, ogni azienda dovrà analizzare la propria attività e la tipologia dei propri rifiuti.
In tal senso, le CNA di Arezzo, Grosseto e Siena invitano le aziende a recarsi presso gli uffici dell’Associazione per dar corso alle necessarie verifiche. A questo punto, infatti, i Comuni dovranno adeguare i propri regolamenti all’ interpretazione del Ministero. La lievitazione dei costi del servizio e il progressivo aumento di una tariffa che non è più sostenibile dalle famiglie e dalle imprese impongono di affrontare la questione dei rifiuti in modo organico. Si apre oggi una fase nuova e complessa; quella relativa all’armonizzazione dei regolamenti comunali all’interpretazione fornita dal Mef. Una fase in cui le Associazioni CNA di Arezzo Grosseto e Siena, non mancheranno di fare la loro parte.
Cna Siena – Cna Arezzo – Cna Grosseto