<<Vorrei portare un contributo alla discussione che si è accesa sul destino del Santa Maria della Scala. Ritengo, infatti, utile e necessario che la discussione, che non nasce oggi ma fa parte di un filo lungo che comincia da Cesare Brandi e passa per l’ILAUD (il Laboratorio di architettura portato da Giancarlo De Carlo a Siena, che a lungo si è interessato del riuso del Santa Maria) , per il progetto di Guido Canali e per altri rami ancora, parta dalla costruzione di una consapevolezza, il più diffusa possibile, di cosa è realmente il complesso del Santa Maria, di cosa è stato recuperato e realizzato finora, delle sue potenzialità e delle sue caratteristiche intrinseche.
Concordo con chi dice che il Santa Maria non è un “contenitore”, non è una scatola da scarpe da riempire con ciò che si vuole; è invece un edificio gigantesco e complicato, frutto di una storia secolare di accrescimenti e aggiunte, con una sua storia, un carattere, direi un’anima. Può ospitare e accogliere tante attività e cose, ma – secondo me – non troppe né tutte.
In questi mesi abbiamo effettuato un sopralluogo lungo ed accurato con la Commissione Cultura del Consiglio Comunale, ma per quanto approfondito non può avere esaurito la conoscenza del luogo. Proprio per questo, e per permettere ad una platea più ampia possibile di discutere consapevolmente del destino del SMdS, con altri amministratori abbiamo avanzato l’idea di dare un inizio concreto ad un tragitto che abbia poi tempi certi e una decisione finale, con il passaggio da un’espressione chiara del Consiglio. Potremmo partire da una giornata di studio, aperta a tutti, per la quale ad esempio c’è già la disponibilità dello Studio Canali che ha la conoscenza diretta di tutto ciò che è stato recuperato e progettato; e questo potrebbe essere condotto di pari passo con il lavoro sul progetto di candidatura 2019, che vede nel Santa Maria e nel suo futuro uno snodo centrale nella costruzione di un’economia della cultura.
Se il 2019 è infatti l’orizzonte (più vicino, almeno), la cornice è quella di tutta l’Italia, perché la sfida del “Che fare” al Santa Maria rappresenta non solo un unicum nel panorama della candidatura delle città italiane, ma addirittura la quintessenza del possibile rilancio del nostro Paese come luogo dove il patrimonio culturale esistente, immenso e arcinoto, diventa solida base per l’innovazione sociale, produttiva, economica (e culturale, ovviamente).
Per questo la sfida di Siena deve coinvolgere tutti, perché ciò che si fa qui darà il segnale che l’Italia ce la può fare a coniugare la salvaguardia del passato con il progresso futuro, senza per questo trasformare la nostra ricchezza artistica e culturale in una Disneyland per turisti o in una miniera solo per privati: e così la discussione deve essere aperta anche fuori della città, magari “persino” a quei polemisti che ci hanno già etichettato; a questi critici che dall’esterno leggono con troppa semplicità i nostri travagli e le nostre discussioni, suggerisco e propongo di venire in città per incontrarci e confrontarci.
Siena, infatti, non deve essere lasciata sola, né nelle sfide colossali (oltre al Santa Maria mi viene in mente la conservazione delle mura, che appartengono allo Stato) né nella prefigurazione e nei progetti. Sono convinto che una discussione così ampia e consapevole, cui si pongano tempi certi e determinati nonché un termine prefissato, porterà a compiere la scelta migliore chi ha ricevuto dai cittadini la responsabilità di decidere>>.
Paolo Mazzini, Assessore ai Lavori Pubblici e Patrimonio del Comune di Siena