L’Università di Siena fa parte come membro attivo della neo costituita Associazione Italiana Angiomi Cavernosi – AIAC, dedicata alle persone affette da una malattia genetica denominata Malformazioni Cavernose Cerebrali (CCM).
L’associazione è nata all’Università di Torino con il supporto della Fondazione Telethon e fa seguito alla creazione del portale www.ccmitalia.unito.it, che, oltre a rappresentare un importante punto di incontro per i pazienti affetti da questa malattia, ha consentito di costituire un network di ricerca multidisciplinare su scala nazionale, con l’obiettivo di mettere in relazione gli aspetti clinici, genetici, istologici, cellulari e molecolari di questa patologia e garantire un più rapido avanzamento delle conoscenze dei meccanismi patogenetici e la definizione di nuovi approcci terapeutici.
Il network, coordinato dal professor Francesco Retta dell’Università di Torino, è composto da ricercatori che studiano le malformazioni cavernose cerebrali in diversi settori disciplinari e svolgono la loro attività presso università, aziende ospedaliere e sanitarie italiane, tra cui, unica sede in Toscana, Siena, dove opera da tempo in questo ambito un team multidisciplinare del quale fanno parte la professoressa Lorenza Trabalzini (del dipartimento di Biotecnologie), i professori Stefania Battistini e Raffaele Rocchi (del dipartimento di Scienze neurologiche, neurochirurgiche e del comportamento), il dottor Alfonso Cerase (del D.A.I. Scienze Neurologiche e Neurosensoriali -UOC Neuroimmagini e Neurointerventistica), il dottor Giuseppe Oliveri (del D.A.I. Scienze Neurologiche e Neurosensoriali- Dir. UOC Neurochirurgia Ospedaliera), e la professoressa Clelia Miracco (del dipartimento di Patologia umana ed oncologia).
“Le malformazioni cavernose cerebrali – spiega la professoressa Trabalzini, socio fondatore e membro del Consiglio Direttivo dell’AIAC – sono lesioni vascolari caratterizzate da agglomerati di capillari sanguigni abnormemente dilatati e fragili che possono causare un ampio spettro di sintomi quali cefalee ricorrenti, epilessia, emorragie cerebrali e altri sintomi neurologici focali. Si tratta di una malattia genetica molto meno rara di quanto si pensi – prosegue la professoressa – ma ancora poco conosciuta, persino in ambito medico. La malattia appare quindi ad oggi diagnosticata solo in minima parte, a causa di una sintomatologia che spesso porta a diagnosi sbagliate. Al momento non esiste una cura specifica, a parte la rimozione chirurgica di lesioni accessibili in pazienti a rischio di emorragie cerebrali o con epilessia non trattabile farmacologicamente. Tuttavia, la caratterizzazione dei meccanismi patogenetici della malattia, a cui hanno contribuito anche i ricercatori dell’Università di Siena, sta aprendo nuove prospettive per la messa a punto di strategie terapeutiche non invasive”.