E’ a un livello allarmante la presenza di microplastiche nel mar Mediterraneo, anche nell’area protetta del Santuario dei Cetacei: il valore medio, 0,62 particelle di microplastica per metro cubo, è simile a quello riscontrato nelle isole di spazzatura che galleggiano nell’Oceano Pacifico. I maggiori livelli riscontrati sono nel mar Ligure, con una presenza 7 volte superiore rispetto al Mar di Sardegna.
Le microplastiche impattano pesantemente sul plancton e quindi, a cascata, sugli organismi marini: in particolare la balenottera comune, uno dei più grande filtratori al mondo di acqua marina, specie a rischio di estinzione, è risultata contaminata in modo preoccupante dagli ftalati, i derivati più nocivi della plastica che hanno la capacità di interferire sulle capacità riproduttive.
A questi risultati giunge il primo studio al mondo che ha verificato la presenza di microplastiche nel plancton e nelle balenottere, attraverso analisi tossicologiche effettuate su campioni di grasso sottocutaneo. Le microplastiche sono particelle di meno di 5 millimetri derivate dalla degradazione di rifiuti plastici.
Lo studio, condotto dal gruppo di ricerca della professoressa Maria Cristina Fossi dell’Università di Siena, finanziato dal ministero dell’Ambiente, della tutela del territorio e del mare, e appena pubblicato sulla rivista scientifica “Marine Pollution Bulletin”, ha fornito tre dati, i primi a livello internazionale su questo tema: il 56% dei campioni di plancton superficiale nell’area del Santuario Pelagos contiene particelle di microplastica, con un valore elevato; nel plancton è molto alto il livello degli ftalati, composti additivi della plastica nocivi per la salute dei mammiferi e classificati come “distruttori endocrini”, sostanze che interferiscono con la riproduzione; è stato provato che gli ftalati presenti nel plancton vengono metabolizzati e possono avere effetti tossici sui cetacei, con alte concentrazioni rilevate nell’adipe sottocutaneo di 4 balenottere comuni su 5 ritrovate spiaggiate lungo le coste italiane.
Il dato di 60 nanogrammi per grammo di MEPH, il metabolita derivato dagli ftalati utilizzato come tracciante, è il primo dato scientifico prodotto al mondo riguardante la contaminazione da plastiche nelle balene.
Inoltre sono in corso, nei laboratori del dipartimento di Scienze ambientali dell’Università di Siena, le analisi tossicologiche sui campioni di adipe sottocutaneo di 18 balenottere vive, recentemente campionate con tecniche diagnostiche. Si tratta di una buona percentuale di quelle presenti in estate nelle acque del Santuario Pelagos, stimate in un numero attorno a 150.
Attraverso un dardo appositamente modificato i ricercatori riescono ad asportare, in una procedura che non ha controindicazioni per la salute dell’animale, una piccola porzione di pelle e grasso sottocutaneo che permette di fare le analisi tossicologiche più accurate: quantificare il livello di inquinanti e valutare gli effetti tossicologici come le variazioni genetiche indotte. I dati saranno poi confrontati con quelli di un’area di controllo, presa come riferimento in quanto ”incontaminata”, che è il Mare di Cortez in Messico.
“Adesso vogliamo analizzare meglio gli effetti tossicologici dell’inquinamento da plastiche ¬dice la professoressa Fossi – ¬ non solo sulla balenottera comune ma anche su altri organismi, come le tartarughe, lo squalo elefante e i pesci che vivono sul fondale marino come la sogliola.
Su questo aspetto il nostro gruppo ha vinto un assegno di ricerca cofinanziato dalla Regione Toscana, dando la possibilità ad un giovane ricercatore di poter indagare su queste innovative tematiche ambientali. Inoltre, grazie al sostegno del ministero dell’Ambiente abbiamo proposto all’Unione europea di adottare i cetacei e la tartaruga Caretta caretta come indicatori delle stato di salute del Mediterraneo, nell’obiettivo, che l’Europa si propone di realizzare entro il 2020, di riportare il Mare Nostrum ad un buono stato ambientale.