Sono fortemente preoccupato, rispetto ai passaggi che attendono Banca e Fondazione Mps e sulle ricadute che questi potranno avere sul territorio. Mi sento però di dover prendere le distanze dai toni e dai contenuti delle dichiarazioni, espresse nei giorni scorsi da alcuni esponenti della politica e delle istituzioni a livello locale. La sensazione è che ancora non ci sia la consapevolezza dei cambiamenti in corso, della portata della crisi e delle scelte che Banca e Fondazione Mps dovranno affrontare per tentare di salvarsi. C’è chi ancora pensa di misurarsi con questioni complesse con la testa rivolta al passato e chi agisce scaricandoci strumentalizzazioni politiche, animate spesso da spirito di rivalsa. Non c’è niente di più sbagliato.
Il contesto entro il quale sono maturati i problemi di Banca e Fondazione Mps. Per valutare correttamente gli snodi cruciali dei prossimi giorni occorre contestualizzarli in un quadro più vasto. Le difficoltà di Banca e Fondazione derivano da un mix negativo, fatto di gravi errori amministrativi; inadeguatezza degli indirizzi strategici ed effetti della più grave crisi economica dal dopo guerra ad oggi. Poi ci sono alcune questioni che sono oggetto di attenzione da parte della Magistratura e saranno le sentenze a fare chiarezza su eventuali responsabilità penali e/o civili. Sugli indirizzi strategici che attengono alle istituzioni, alle forze politiche e sociali e sui quali, già in passato, abbiamo fatto una severa autocritica voglio invece soffermarmi. Per anni su Mps si é cercato di perpetuare la logica dell’istituto di diritto pubblico, superata dalle norme degli anni Novanta, con il dogma del 51%. Un limite che ha provocato un processo di crescita della Banca particolarmente oneroso; uno snaturamento della funzione della Fondazione; un’eccessiva concentrazione del rischio e una tendenza all’autosufficienza che, tra l’altro, ha impedito una lettura lungimirante del processo di crisi e dei cambiamenti in atto.
Il limite culturale che ha generato errori e miopie. Questi errori e queste miopie sono state generate, a mio avviso, da un grave limite culturale. Un limite che oggi sembra riemergere, come dimostrano le reazioni regressive e nostalgiche di fronte ai prossimi delicatissimi passaggi. Reazioni che non vogliono prendere atto della realtà e del fatto che niente sarà più come prima. Le dichiarazioni dal sapore nostalgico e regressivo, lo dico forte e chiaro anche a costo di essere impopolare, rischiano tra l’altro di trasmettere all’esterno un’immagine di una comunità arroccata sui “passati fasti” e che non ha ancora saputo fare i conti con la realtà e con gli errori commessi nel passato. Ciò rischia di indebolire ulteriormente Siena nell’interlocuzione con la dimensione nazionale.
Rivendicare discontinuità e innovazione. Passaggi tremendamente complessi e rischiosi, come quelli che abbiamo di fronte devono essere affrontati in modo radicalmente diverso. In primo luogo rivendicando a voce alta la volontà e la capacità di una parte di questa comunità di essersi mossa, anche se con colpevole ritardo, sul terreno della discontinuità e dell’innovazione, senza rimanere a guardare di fronte a una situazione che già due anni fa stava precipitando. Abbiamo sostenuto il cambiamento del management di Banca e Fondazione, puntando sul merito e sulla professionalità; abbiamo spinto verso un’autonomia dei poteri e una separazione tra funzione politica e ruoli gestionali; stiamo accompagnando il percorso di ristrutturazione della Banca, senza cavalcare le tensioni prodotte da alcune scelte molto dolorose; ci siamo fatti carico delle indicazioni provenienti dall’UE; abbiamo sostenuto il cambiamento radicale dello statuto della Fondazione e abbiamo iniziato a riposizionare un territorio che si considerava protetto dalle dinamiche esterne. C’è quindi una parte della comunità senese che ha dimostrato di essere viva e reattiva, di avere capacità e forza e di non essere solo un coacervo di nostalgia, lamentele, polemiche e veleni, come vorrebbe qualcuno. Siena è e potrà essere molto di più nel futuro, come dimostra anche l’opportunità della candidatura a Capitale europea della cultura, facendo leva sulle sue forze, sulle sue potenzialità, sui suoi talenti.
Salvare l’indipendenza, l’integrità e la relazione con il territorio della Banca, Ora ci sono passaggi cruciali da affrontare. Mi auguro che le sfide, legate ai vincoli pesanti dell’Ue, che hanno imposto l’aumento di capitale della Banca e l’attuazione del nuovo piano industriale, possano essere affrontate con successo, evitando la nazionalizzazione. Sono consapevole dei sacrifici che questo comporterà e auspico che ci sia la massima attenzione per la sostenibilità sociale degli interventi e per relazioni sindacali, improntate al confronto. Ovviamente non c’é la certezza sul punto di arrivo di questo percorso. L’obiettivo primario però deve essere quello di salvare l’indipendenza, l’integrità e la relazione con il territorio della Banca, rappresentata in primo luogo dalla permanenza a Siena della sede e dalle funzioni direzionali. Su questi aspetti nei mesi scorsi Fabrizio Viola e Alessandro Profumo hanno speso parole importanti e su questi punti imprescindibili dovranno essere valutati, senza però dimenticare o sottovalutare gli snodi critici superati dalla Banca in questi ultimi due anni.
Tutelare il patrimonio della Fondazione Mps. In questo quadro si colloca l’impatto che l’aumento di capitale può avere sul patrimonio della Fondazione Mps. Vi sono rischi enormi che non possono essere elusi ed è per questo che la Presidente Mansi fa bene ad agire con determinazione per tutelarne il patrimonio. C’è chi riterrá questo ragionamento “cerchiobottista”, ma in realtà é la logica delle tifoserie che deve finire su queste materie. La verità è che in campo ci sono due ragioni: quella del management della Banca e quella degli amministratori della Fondazione ognuno con la propria autonomia e con il diritto – dovere di fare il possibile per salvaguardare il futuro dei soggetti che rappresentano. Come ho già sostenuto nei giorni scorsi, abbiamo due management autorevoli e autonomi, ma questo non vuol dire che ci debba essere indifferenza per le sorti reciproche.
Un appello per una soluzione condivisa. La tutela del patrimonio della Fondazione deve essere obiettivo comune come lo è il rilancio della Banca. Logiche unilaterali non servono a nessuno dei soggetti in campo. Occorre inoltre una grande attenzione a non farsi strumentalizzare da portatori di impostazioni estranee alle reali questioni di merito. Il mio appello è quello, nel rispetto dei diversi perimetri di competenza definiti anche dalle norme, a lavorare fino all’ultimo per trovare un punto di equilibrio e una soluzione condivisa, senza lasciare nulla di intentato.
Il governo faccia la sua parte. Il governo in questi mesi ha svolto un ruolo importante nel cercare di accompagnare la Banca nel percorso di uscita dalla crisi. Ora mi aspetto che la stessa attenzione sia posta alla tutela del patrimonio della Fondazione, evitando che questo valore venga compromesso. La distruzione del patrimonio residuo della Fondazione é un danno che deve essere evitato. Questo, non per ripercorrere vecchie logiche distorte, ma per consentire a una Fondazione ridimensionata, di ricostruire una propria mission di lungo periodo al sevizio di una comunità che ha già pagato un prezzo altissimo per gli errori commessi da larga parte della classe dirigente e che però ha dimostrato, almeno in alcune delle sue componenti, di dare vita a un complesso percorso di discontinuità, innovazione e riposizionamento.