Tornano gli investimenti esteri diretti. A beneficiarne sono per lo più i paesi sviluppati e, tra questi, anche l’Italia potrebbe cogliere l’opportunità di flussi di capitali attraverso un sistema ad hoc di riforme e semplificazioni nella burocrazia, nel regime contrattuale, nella giustizia civile, nella fiscalità. E’ quanto emerge da uno studio sul tema “L’Italia e l’attrazione degli investimenti esteri” condotto dall’Area Research e Investor Relations di Banca Monte dei Paschi di Siena.
Dopo un 2012 assolutamente deludente, il 2013 segna per l’intera economia mondiale un recupero del flusso degli investimenti esteri diretti (FDI) che crescono del 9% raggiungendo la soglia di 1,45 trilioni di dollari Usa. Il dato rimane ancora del 30% al di sotto dei livelli pre-crisi ma, secondo l’UNCTAD (United Nations Conference on Trade and Development), le prospettive per il triennio 2014-2016 rimangono moderatamente positive. A sostenere tale trend contribuisce l’elevato ammontare di cassa detenuto dalle multinazionali che, nel 2013, ha superato il 12% dell’attivo totale delle imprese appartenenti ai paesi sviluppati e il 9% di quelle dei paesi in via di sviluppo.
Nel 2013 gli afflussi di FDI verso l’Europa crescono del 2,5% anno su anno, rispetto al +23% anno su anno dell’America del Nord. In termini incrementali, l’Italia fa meglio dell’Europa (16,5 miliardi di dollari Usa rispetto ai 93 milioni di dollari del 2012) ma il Bel Paese, che deve fare i conti con grossi ritardi in termini di trasparenza fiscale, di facilità nel fare business, di enforcement dei contratti e di gravi lentezze nella giustizia civile, ha uno stock di FDI pari alla metà di quello tedesco ed a quasi un terzo di quello francese. Per i prossimi anni, pur considerando il consenso univoco sulla conferma della tendenza di un maggior afflusso di FDI, l’Italia non risulterà tra i paesi più attraenti. Secondo UNCTAD, in Europa saranno ancora Germania, Francia e Regno Unito ad essere le mete ambite.
L’attrattività di un paese dipende anche dagli incentivi che le autorità possono adottare, tra cui la deregolamentazione del mercato del lavoro e di quello previdenziale, incentivi fiscali e finanziari. Secondo un sondaggio diffuso dall’UNCTAD, sarebbero gli incentivi fiscali ad essere importanti per rendere attraente un paese, mentre la deregolamentazione del mercato del lavoro non risulterebbe così determinante. A conferma di ciò anche i dati relativi alla quota di occupazione che le imprese multinazionali, negli ultimi 3 anni, hanno creato all’interno del paese di appartenenza rispetto all’estero. L’evidenza mostra che le multinazionali starebbero tornando, almeno parzialmente, a produrre nei paesi di origine, dove il lavoro più specializzato compensa la manodopera a basso costo. Per questo l’Europa potrebbe tornare ad essere attraente proprio per le imprese che in precedenza avevano delocalizzato. La chiave può essere rappresentata proprio dai giusti incentivi. Anche l’UNCTAD prevede che la quota di FDI diretta verso i paesi sviluppati, nel 2016, tornerà nuovamente a superare quella dei paesi in via di sviluppo. Questi ultimi saranno sempre più determinanti per gli outflow di FDI: già nel 2013 il deflusso di fondi dai paesi in via di sviluppo ed in transizione è stato pari al 39% del deflusso mondiale, più di tre volte superiore a quanto ammontava nel 2000.
Relativamente all’Italia, secondo l’analisi svolta dal Servizio Research di Banca Mps, clean energy e high technology sarebbero i settori maggiormente attrattivi per gli FDI. Un’attenzione particolare va alla meccanica, comparto in cui si concentrano soprattutto le mire economiche della Germania (l’Emilia Romagna, ad esempio, ha recentemente siglato un’intesa italo-tedesca per il lancio di una piattaforma unica per la produzione allo scopo di aumentare la competitività delle PMI sul mercato globale).