Ore di panico, urla, grida, gente che corre da una parte all’altra senza capire né sapere dove andare, cosa fare per salvare la propria esistenza. Uomini e donne che non sanno cosa è successo, per quale motivo sta accadendo qualcosa di così insolito e così diverso dal normale. Una nave che pian piano si inclina e allora aumentano le urla e le grida. Paura di morire inghiottiti dal mare in una notte nera e scura, senza vedere nulla e senza neppure rendersi conto a quanta distanza dalla terra ferma la nave si trovi in quel momento.
Paolo Peri ha 55 anni, è nato a Benevento e dal 1990 risiede nel territorio senese, adesso vive ad Ancaiano nel Comune di Sovicille. Si trovava sulla nave Concordia per lavoro, partecipava all’evento realizzato in collaborazione con Costa Crociere sulla figura professionale del parrucchiere. La sua occupazione è quella di consulente tecnico e operatore di formazione della Keron: Paolo avrebbe dovuto tenere delle lezioni a bordo. Il suo racconto è emozionante, toccante: “Ricordo tutto benissimo e anzi mi scusi – dice – ma ho avuto uno stress emotivo nelle ore e nei giorni seguenti alla tragedia”.
Paolo Peri, dove si trovava quando c’è stato lo schianto?
“Ero dentro al ristorante della nave, al quinto ponte. Ho gli scontrini dell’orario in cui ho fatto le ordinazioni: in uno c’è scritto 20,32 e in un secondo 20,37. Prima, attorno alle 20, avevamo sentito una piccola vibrazione, ma il vero schianto lo abbiamo sentito dopo, verso le ore 21. Abbiamo sentito come raspare sotto la carena, tutti ci siamo guardati negli occhi e abbiamo ipotizzato che la nave avesse colpito qualcosa. Ho sentito come un risucchio e poi mi è sembrato che il motore si fermasse all’improvviso. E non è finita lì”.
Ci racconti.
“Subito dopo la nave si è inclinata, guardi, era impossibile non avvertirlo perché ha cominciato ad andare verso destra. Si era inclinata sicuramente. Gli oggetti dentro il ristorante hanno iniziato a cadere per terra e l’inclinazione aumentava tanto che i camerieri e i marinai che si trovavano lì con noi hanno cominciato ad abbracciarsi a qualunque cosa si trovasse nelle loro vicinanze pur di non cadere e scivolare per terra. E dopo è successo il casino”.
Cosa di preciso?
“Si sono spente le luci e siamo rimasti al buio. La gente ha cominciato ad urlare, i bambini hanno cominciato a piangere. C’erano tantissimi bambini, li ricordo molto bene. Dopo poco per fortuna si sono accese le luci di emergenza e allora abbiamo visto i camerieri che sono usciti tutti fuori di corsa”.
Ma riuscivate a vedere fuori dai finestrini? Vi eravate resi conto che eravate vicini alla riva?
“No, non lo sapevamo affatto. Era buio, non vedevamo nulla. Per quanto ne sapevamo noi potevamo anche essere in mare aperto. Non vedevamo niente, non vedevamo luci. Non sapevamo di essere così vicini alla costa, forse dai ponti superiori e più alti rispetto al nostro vedevano la costa e le luci, ma da dove ci trovavamo noi non vedevamo nulla. Però il ristorante è vicino al ponte quattro, il luogo dove ci avevano detto di andare in caso di emergenze. E lì siamo andati”.
Il panico è scoppiato subito?
“Pian piano le persone cominciavano a capire che doveva essere successo qualcosa di strano. Ci siamo messi i giubbotti salvagente e siamo rimasti sul ponte ad aspettare qualcosa o qualcuno. Ma nessuno è arrivato, nessuno ci ha detto quello che dovevamo fare. La nave era inclinata, le persone o rimanevano in silenzio oppure piangevano e urlavano. Io cercavo di mantenere la calma”.
Ma lei ha visto il comandante Schettino?
“No, io non l’ho visto. Mi hanno detto, ma io non l’ho visto, che verso le 19,30 era venuto al ristorante. Poi nessuno l’ha più visto”.
Nessuno vi ha detto cosa dovevate fare in quei frangenti di paura e panico?
“Eravamo già sul ponte quattro da circa mezz’ora quando abbiamo sentito una comunicazione: ci veniva detto di non preoccuparci perché c’era stato solamente un guasto al generatore di corrente. La nave era inclinata e ci hanno detto che c’era un guasto al generatore di corrente! Ovviamente nessuno ci ha creduto. Addirittura nel messaggio ci veniva detto di tornare in cabina. Dopo un’altra mezz’ora abbiamo sentito un’altra comunicazione: ci veniva ribadito, da una persona che diceva di parlare a nome del comandante, che c’era un guasto al generatore di corrente. Da quel momento in avanti non abbiamo più ricevuto nessuna comunicazione fino a circa le 23. Siamo stati in balìa degli eventi per due ore”.
Come e quando avete deciso di lasciare la nave? Non c’erano ufficiali con voi?
“No, non c’erano. Ad un tratto abbiamo sentito i sette fischi, anche se nessuno ci ha effettivamente spiegato che quello era il segnale di evacuazione della nave. Insieme a noi c’erano cuochi e camerieri e tutti hanno cominciato a dire che dovevamo dirigerci verso le scialuppe di salvataggio. Ora che ricordo c’era un uomo, forse un commissario di bordo: ricordo che aveva gli occhi sbarrati ed era tutto sudato. Mi sembrava fuori di sé. La gente ha cominciato ad andare in tutte le direzioni per cercare una scialuppa di salvataggio”.
Lei cosa ha fatto?
“Io ho avuto l’idea di tornare in cabina. Avevo lasciato il computer e dentro c’erano tutte le foto di mia figlia dalla sua nascita ad oggi. In più in cabina avevo lasciato le chiavi della macchina e un oggetto di culto buddhista. Ho dovuto quasi arrampicarmi perché la nave era molto inclinata, ma ce l’ho fatta. Quando sono arrivato nel corridoio della cabina tutto era buio, ho visto un signore asiatico che camminava freneticamente verso di me, anche lui cercava di aprire la porta della sua cabina. Ho preso tutto, ma nella concitazione ho dimenticato lì il cellulare. Poi di corsa sono tornato sul ponte”.
E’ riuscito ad abbandonare presto la nave?
“Sono stato fortunato. Forse sono riuscito a rimanere più lucido di altri, ho trovato una scialuppa abbastanza libera e sono riuscito a scendere. Quasi tutti correvano da una parte e dall’altra senza forse capire dove andare. Ho visto delle persone svenire, altre persone urlare e disperarsi verso il vuoto. Io dovevo e volevo rimanere lucido. Cercavo di capire come uscirne. Altre scialuppe hanno avuto un brutto impatto con l’acqua, qualcuna vi è caduta sopra quasi di lato. Sentivo ancora urla. Per fortuna la scialuppa dove mi ero sistemato io ha avuto un impatto tranquillo. Dopo cinque o dieci minuti di navigazione abbiamo raggiunto la costa”.
Paolo Peri, quando si allontanava dalla Concordia cosa vedeva o sentiva?
“Sentivo grida, ovviamente, dato che quasi tutti i passeggeri erano ancora lì. Ma ricordo benissimo che poco dopo sul molo dell’Isola del Giglio ho visto alcuni ufficiali che erano già arrivati a terra e guardavano in direzione della nave”.
Ha visto anche il comandante Schettino?
“No, non l’ho visto”.
Ha comunque fornito la sua testimonianza a chi sta svolgendo le indagini?
“Guardi, sto andando adesso dai Carabinieri di Sovicille per raccontare tutto quanto”.
A quel punto lei era salvo.
“Sì. Abbiamo passato l’intera notte sul molo poi, alle 5 del mattino, ci hanno fatto salire su un traghetto e a ciascuna delle persone che si trovavano lì è stato chiesto il nome ed il cognome”.
Cosa pensa oggi di tutta questa vicenda?
“Io sono stato fortunato perché sono riuscito a lasciare velocemente la nave. Ma il pensiero va a quei poveracci che sono morti. E il mio pensiero va anche a quegli ufficiali che avrebbero dovuto essere sulla nave e che invece erano sul molo del Giglio a osservare la Concordia da laggiù. Sulla nave non c’è stato nessun tipo di governo della situazione. Tutto è stato lasciato al caos. E poi voglio dire una cosa sul comandante: in situazioni come questa si vede se una persona è di valore oppure se è un vigliacco. Lui aveva il compito di guidare gli ufficiali e rimanere sulla Concordia. Lui era responsabile della vita di oltre 4mila persone. Sono profondamente addolorato per chi è morto in questa tragedia”.
Gennaro Groppa